Sblocco del turn-over

Occasione per introdurre futuro nelle PA

di Demetrio Naccari Carlizzi, Agata Quattrone e Filippo D’Errigo, P4C - Prepare for Change

pubblicato su [agendadigitale.eu]

Le nuove opportunità di reclutamento non dovranno essere usate per coprire i buchi creati negli anni dal pensionamento dei baby boomers ma dovranno essere indirizzate al reclutamento delle competenze per la trasformazione digitale. Solo così si potrà iniziare un riequilibrio intergenerazionale della cultura della PA

Negli ultimi dieci anni gli enti locali hanno subito regole rigide per la copertura del turn-over che per alcuni anni è stato bloccato o limitato quando non reso impraticabile, visto che ai vincoli normativi venivano aggiunte gravose regole finanziarie e nell’ultimo periodo l’obbligo di riallocare il personale in esubero da Province e Città Metropolitane. La questione per la sua rilevanza era stata anche sottoposta al vaglio della Consulta (sentenza n. 218/2015) perché da più parti veniva lamentata una limitazione illegittima e lineare dei poteri dei Comuni, impossibilitati sostanzialmente a dosare ed amministrare le risorse umane in violazione del principio di autonomia.

La normativa, alquanto schizofrenica, si è composta di divieti e blocchi, di tetti assunzionali, rapporti tra spesa ed entrate correnti, numero di dipendenti e popolazione, fissazione di spazi finanziari, vincoli derivanti dal patto di stabilità interno.

Non si è però mai rinvenuta alcuna traccia di qualsivoglia riferimento o valutazione circa la presenza o assenza negli enti e nella PA in genere delle nuove competenze necessarie ed utili a costruire un ecosistema amministrativo competitivo e coerente con ciò che accade fuori dalla foresta pietrificata dell’amministrazione pubblica. Ancora una volta il fine dell’azione amministrativa era in secondo piano così come venivano letti in maniera didascalica e declamatoria i principi di economicità, efficienza ed efficacia senza la possibilità di utilizzare la leva delle risorse umane.

Se ripensiamo al Vecchio Testamento e al Padreterno che aveva deciso di lasciare il popolo eletto per 40 anni nel deserto per purificarlo dalla contaminazione nei costumi subita dagli egiziani, il nostro legislatore ha quindi avuto una fiducia più che soprannaturale della capacità della burocrazia di tradurre riforme ed elaborare i nuovi saperi alla base dei processi di cabiamento.

Il problema delle teste e delle competenze è invece proprio il primo livello di ogni processo di trasformazione ed è da annoverare tra i nodi principali che rallentano la trasformazione digitale della PA.

Come procedere adesso che la manovra all’approvazione del Parlamento finalmente sbloccherà il turn-over riconsegnando alle amministrazioni locali la possibilità di operare un reclutamento utile di personale?

Se, infatti, il blocco ha prodotto una sofferenza per i Comuni oggi le nuove competenze digitali dovrebbero bilanciare anche in senso intergenerazionale la cultura nativa della PA italiana. Per esempio, un Comune medio come Reggio Calabria aveva nel 2001 1.353 dipendenti mentre oggi dispone di 905 unità di personale, ha quindi perso circa il 33% del personale in servizio.

Questi spazi finanziari possono essere utilizzati più che per una parziale e generica copertura del turn-over, per introdurre futuro nella PA tramite competenze e skill digitali, reingegnerizzando la macchina ed aumentando la produttività.

Questo obiettivo presuppone una riscrittura della declaratoria delle competenza ed esemplificazione di profili contenuti nell’allegato A al CCNL del 1998/2001. Rispetto a questo schema i singoli enti hanno proceduto quasi 20 anni fa con propri atti di specificazione nell’immediatezza dell’approvazione del contratto.

Per rendere efficace la futura azione di reclutamento è oggi necessaria una norma specifica e una direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica d’intesa con AgID e Team Digitale verso l’aggiornamento e l’acquisizione di nuove competenze senza vanificare gli sforzi compiuti nel contenimento della spesa del personale.

Gli enti d’altra parte si trovano nel pieno del pensionamento della gobba demografica dei baby boomers e non possono sbagliare nessun colpo perché la crisi fiscale della finanza pubblica nei prossimi anni presumibilmente continuerà a chiedere sacrifici alla finanza locale che stresserà ulteriormente la tenuta degli enti.

Solo un nuovo modello di PA ricostruita da interpreti digitali può segnare un aumento di produttività e di efficienza per una pubblica amministrazione locale con sempre meno dipendenti cui la legislazione richiede una trasformazione orientata alla generazione di un delta di valore pubblico e a centrare gli outcomes.

In questo senso non può pensarsi di non affrontare parallelamente il problema del modello di PA, intendendo in tal senso un cambiamento del paradigma dell’amministrazione pubblica verso obiettivi di risultato e di performance.

Si tratta di orientare l’azione pubblica verso la generazione di risultati (outcomes) di cui è possibile valutarne ex ante le possibili ricadute e misurarne ex post gli effetti reali. Sarà quindi essenziale dotarsi di strumenti di monitoraggio e controllo e con le informazioni raccolte sviluppare modelli interpretativi. Nella sfida lanciata a scala globale con l’Agenda 2030 la PA avrà un ruolo determinante. Si dovrà dimostrare quanto l’azione pubblica in termini di output (beni e servizi) contribuisce ad accrescere il benessere equo e sostenibile dei cittadini e delle imprese.

L’attuazione stessa dell’Agenda Digitale nazionale a livello territoriale senza l’acquisizione di nuove competenze diventerà un problema. I Comuni infatti si trovano a dover allinearsi ai nuovi strumenti ed hanno davanti a sé un più ampio banco di prova dal nuovo CAD (Codice dell’Amministrazione Digitale), alle sfide del FOIA (Freedom of Information Act) della Riforma Madia, dalle azioni in campo coordinate dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e dal Team per la Trasformazione Digitale, alla direttiva per l’introduzione del lavoro agile (smartwork) nella pubblica amministrazione, alla riprogettazione digitale del proprio modello.

Mentre i Comuni dovranno essere in grado di interpretare il cambiamento e costruire servizi più semplici ed efficaci, le indagini ci dicono inequivocabilmente che il nostro Paese ha un gap di competenze digitali. Secondo il DESI (Digital Economy and Society Index) nel 2016 in Italia il 48% della forza lavoro ha competenze digitali insufficienti (media UE 37%) sulla base di un 21% che non ha nessuna competenza digitale e non ha mai utilizzato Internet (media UE 37%).

A nulla vale imporre (art. 17 del CAD) l’obbligo alle PA di nominare il Responsabile della Trasformazione Digitale e il Difensore Civico Digitale, se le amministrazioni devono necessariamente attingere all’attuale dotazione organica. Infatti, tale previsione è stata letta come uno dei tanti adempimenti formali e sono pochissimi gli enti pubblici che hanno provveduto ad individuare tali figure che dovrebbero indirizzare la strategia verso il digitale e recepire segnalazioni e reclami dei cittadini in materia di PA digitale.

Stupisce poi che il Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica amministrazione 2017–2019, approvato di recente, che si definisce il modello di riferimento per lo sviluppo dell’informatica pubblica italiana e la strategia operativa di trasformazione digitale del Paese, pur ponendo il tema della “gestione del cambiamento”, dedichi solo poche indicazioni alle competenze necessarie, di fatto demandando al dipartimento della Funzione Pubblica e riferendosi peraltro a profili afferenti esclusivamente all’ambito ICT e non trasversali.  Anche le Linee Guida per la qualità delle competenze digitali nelle professionalità ICT emanate a marzo da AgID si riferiscono unicamente ad aree professionali dell’information technology (UNINFO / e-CF).

Le skills necessarie ad una profonda trasformazione digitale della PA dovrebbero invece riferirsi a tutte le categorie di lavoratori del settore pubblico, ricomprendere anche profili specifici per accompagnare il processo di change management, semplificazione, orizzontalità delle funzioni, valutazione delle performance e degli impatti (output e outcome). Figure professionali indispensabili per accompagnare con creatività e visione improntata alla semplificazione il processo di trasformazione digitale.

Nuove competenze e non solo digitali anche perché la contaminazione dei nuovi istituti dovrebbe andare di pari passo con una riprogettazione della macchina amministrativa sulla base di principi market oriented, Digital First e per definizione, partecipazione alla PA, condivisione dei dati, accesso civico universale integrazione culturale intergenerazionale, organizzazione orizzontale e sussidiaria, sostenibilità nell’uso di risorse.

Come fronteggiare altrimenti la rapida escalation di tecnologie, quelle per la raccolta ed elaborazione dei dati, per la digitalizzazione ed automazione dei processi, in particolare, impongono ormai una radicale rilettura del modello organizzativo e del reclutamento delle risorse umane. Vale in tutti gli ambiti ma ancor più nella PA, caratterizzata da azioni routinarie e procedurali. Funzioni e ruoli tradizionali sono destinati a scomparire soppiantati dall’automazione e dal digitale; d’altro canto ci si dovrà interrogare su cosa invece serve (competenze, regole, strutture trasversali, ecc.) per non ostacolare e promuovere il cambiamento.

Il ruolo dell’automazione nell’ambito della pubblica amministrazione nei prossimi anni sarà fondamentale. L’Internet delle cose (IoT), il Cloud, i Big Data Analytics e le tecniche di Intelligenza artificiale (AI) e Machine Learning (ML) consentono di raccogliere grandi quantità di dati eterogenee, che saranno analizzati attraverso modelli predittivi sempre più sofisticati ed elaborati e usati da nuovi applicativi software in grado di agire autonomamente ed inviare risposte automatiche agli utenti finali. Ad esempio le soluzioni per la digitalizzazione dei procedimenti, che implementano modelli standard in BPMN (Business Process Management Notation), combinate con funzioni di apprendimento automatizzato potranno esentare i dipendenti dallo svolgere tutte le attività routinarie e istruttorie parametrizzabili. Parallelamente Chatbots e assistenti virtuali saranno capaci di simulare le conversazioni umane e diventeranno la prima interfaccia di raccolta delle istanze dei cittadini, e saranno in grado di risolvere le problematiche in modo diretto o inoltrando le richieste ai secondi livelli di competenza.

È proprio rispetto a questo orizzonte mutato che il reclutamento possibile per i Comuni rappresenta una sfida non di poco conto. Alla luce di ciò occorre fronteggiare i rischi della rimozione dei limiti al turn-over rispetto alle opportunità che una apertura consapevole e ben indirizzata possa determinare.

Non si deve sottovalutare che l’azione di Governo e di indirizzo tecnico per la digital trasformation della PA intervengono su un modello amministrativo tradizionale.

Non si deve essere ingenui e limitarsi a credere che hackerare da fuori con strumenti tecnologici sia sufficiente per innovare senza prima pensare a come riorganizzare macchina e funzioni.

Questo approccio, che ha spesso dimostrato di essere vincente nelle aziende private, che fanno business e tipicamente hanno nella loro governance la volontà di investire in rinnovamento e hanno capacità tecnica e rapidità di esecuzione per innovare, non può valere tout court anche per la Pubblica Amministrazione.

Gli strumenti per quanto innovativi resteranno un corpo estraneo, senza intervenire con cognizione e visione su organizzazione e regole. Il processo di metabolizzazione non è da sottovalutare.

L’attività di digital distruption centrale operata dal Team e la Riforma della PA devono procedere su un unico binario, avendo chiaro il medesimo modello. Lo sblocco del turn-over deve mettere in condizione i Comuni di introitare nuove competenze funzionali a quel modello.

Il rischio altrimenti è che la Riforma resti monca e gli strumenti digitali realizzati (anche se imposti come SPID e PagoPA) non vengano utilizzati a pieno nei territori. Le PAL se non opportunamente stimolate e monitorate nelle loro performance tarderanno a innovare il loro modello, a semplificare e digitalizzare i propri processi, ingabbiate come sono nell’atteggiamento autoreferenziale e macchinoso della burocrazia e i cittadini continueranno ad avere pochi servizi fruibili attraverso il digitale e in mobilità (anche se i Comuni, obbligati, avranno aderito a SPID, PagoPA, CIE, ecc.).

Non stupiamoci poi se l’inchiesta annuale di FPA realizzata in un campione di persone caratterizzato soprattutto dalla netta prevalenza di dipendenti pubblici segnala che la burocrazia è in aumento alimentata da atteggiamenti di burocrazia difensiva, eccessiva produzione di norme.

Il virus del cambiamento viaggia in un sistema operativo arcaico. È necessario comporre tutte le tessere del mosaico per non rimanere….40 anni nel deserto!

 

 

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