Unità d’Italia e Mezzogiorno - parte 6

di Silvio Gambino (Università della Calabria)

Le prime 5 parti di questo saggio sono state riportate [qui]. Il saggio completo può essere scaricato in formato pdf da [qui].

6. Istituzioni territoriali, politica e riforme
Nel quadro dei tanti profili meritevoli di approfondimento, relativamente al tema di analisi prescelto, proporremo ora alcune brevi riflessioni conclusive volte a farsi carico di una tematica che era e (tuttora) rimane centrale negli studi e nella pratica del diritto costituzionale italiano: quella dei rapporti fra autonomia politica e autonomia territoriale nel quadro di una forma di Stato pluralistica costituzionalmente fondata sulla democrazia partecipativa.

Come è noto, soprattutto alla luce del fallito tentativo della maggioranza di centro-destra (nella precedente legislatura) di varare modifiche di rilievo della Costituzione, possiamo ben confermare come il regionalismo italiano non sia di tipo federalistico, se non nella esasperazione mitica di qualche leader e di qualche vandea regionale, per mere esigenze territoriali e di propaganda politica57.

Nella concreta realtà, la storia del regionalismo italiano si coniuga felicemente con una delle categorie interpretative del costituzionalismo maggiormente contestate dalla dottrina, ancorché frequentata nel discorso politico e nell’analisi scientifica: la nozione di ‘costituzione materiale’. Costantino Mortati ne aveva approfonditamente trattato nei suoi studi58.

Pur rifiutandosi di assegnarle capacità ermeneutiche idonee a mettere in questione l’interpretazione del testo costituzionale, la dottrina costituzionalistica da tempo ne ha tratto tutte le conseguenze, limitandosi a coglierla come idonea a identificare lo iato esistente fra il testo costituzionale e l’attuazione pratica che ne veniva (e ne viene) data.

È appunto in questo genere di lettura – organica a mettere in tensione dialettica un testo costituzionale formale con la sua attuazione – che devono cogliersi le complesse e dinamiche relazioni venutesi a determinare nel Paese fra un sistema costituzionalizzato di autonomie regionali e locali (art. 5 e tit. V Cost.) e un inedito sistema di partiti.

Specie quando quest’ultimo – sulla base del consenso assicuratogli dal ‘patto costituzionale’ fra cattolici, marxisti e liberali (risorgimentali) – si è candidato a svolgere una funzione di democratizzazione del Paese, riuscendo ampiamente nel compito, anche se in uno scenario non indifferente alle scelte di lottizzazione dello Stato (Giuliano Amato ha lucidamente parlato, a questo proposito, di “governo spartitorio”).

Nell’ottica appena accennata si è pure affacciata la problematica dell’effettività delle disposizioni costituzionali, cioè della loro idoneità pratica a conformare i comportamenti degli attori del sistema politico e sociale. In questa dialettica politico-costituzionale, ritroviamo prassi amministrative e comportamenti delle istituzioni rappresentative che si discostano dalla previsione costituzionale, nel senso che quest’ultima, nella fase della sua attuazione, veniva/viene concretamente asservita al ruolo monopolista svolto, nella democrazia del Paese, dalle forze politico-partitiche.

Lo ‘Stato dei partiti’ e la ‘democrazia dei partiti’ costituiscono l’esito di tale processo, per come la migliore dottrina costituzionale ha sottolineato. Uno Stato e un modello di democrazia – tuttavia – che vede operare, per più di una metà di secolo, la scelta di non dare piena attuazione a quel pluralismo istituzionale, rappresentativo delle più significative novità istituzionali e costituzionali dello Stato repubblicano.

Ne è seguita, in tal modo, quella ‘convenzione’, nei fatti contra constitutionem, consistente: a) in un ‘congelamento’ quasi trentennale, della Costituzione nelle disposizioni relative all’attuazione (per la prima volta nella storia del Paese) del regionalismo; b) di un congelamento, per un periodo ancora maggiore (fino alla legge n. 142/1990 e al successivo T.U.E.L.), delle disposizioni costituzionali volte a dare piena attuazione al ruolo e alle funzioni delle autonomie locali; c) di un congelamento, infine, ancorché temporalmente più breve, di disposizioni fondamentali di primaria garanzia costituzionale, come quelle relative al varo del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte costituzionale.

La conclusione che se ne è tratta, infatti, non pare molto esaltante rispetto alla considerazione normativistica del diritto e di quello costituzionale in particolare. In concreto, si è dovuto prendere atto, da taluni con insofferenza e con significativi ritardi nelle relative analisi, che la Costituzione in molte sue parti era rimasta “una Costituzione di carta”, rispetto alla quale altre regole materiali si erano concretamente imposte.

Regole ideate e praticate da un sistema di partiti politici che, nella storia politica del Paese, ha imposto la propria centralità e il relativo protagonismo (più di uno studioso ha inquadrato tale tema con il riferimento alla logica del monopolio), obnubilando il ruolo e la natura di inner law propria della Costituzione scritta.

L’esito contraddittorio di tale oscuramento della Costituzione formale, invero, ha registrato manifestazioni in gran parte positive con riferimento sia agli effetti della partecipazione politica di tipo partitico che di quella referendaria nonché della partecipazione sociale diffusa. Ciò è accaduto anche relativamente alla graduale e importante attuazione di diritti sociali (come l’istruzione e la salute), che hanno concorso (e contribuito) in modo significativo al processo di democratizzazione del Paese e alla stessa sua modernizzazione negli apparati economici e di accompagnamento delle trasformazioni sociali ed economiche.

Tuttavia, la positività di tali esiti si è accompagnata, fin dalla prima ora, con una capacità pervasiva del sistema politico-partitico sul sistema economico (pubblico e privato), nonché sull’amministrazione pubblica, dando vita a ciò che la politologia e la sociologia politica hanno ben colto con le categorie della “lottizzazione” e del continuum politica-amministrazione.

Detto in grande sintesi, tale processo appare centrale da richiamare per comprendere le sorti concrete del regionalismo del Paese, alla ricerca delle sue ragioni, diremmo strutturalmente politiche, e della relativa debolezza istituzionale. Una debolezza che permane – fino ad acuirsi – anche dopo la crisi del modello del ‘partito di massa’ e la relativa delegittimazione a partire dai primi anni ’90, ma che, cionondimeno, ha aperto concrete possibilità per una ripresa delle strategie istituzionali volte a dare piena attuazione al modello costituzionale del pluralismo istituzionale inscritto nella Costituzione, sia come principio ispiratore (art. 5) sia nelle analitiche disposizioni di attuazione (Titolo V Cost.).

Un modello – quest’ultimo – che, per l’evidente discontinuità rispetto al recente passato politico-istituzionale, qualcuno ha ben pensato di qualificare semplicisticamente come federalistico, volendo con ciò probabilmente sottolineare tutte le esigenze di responsabilizzazione dei governi regionali e delle amministrazioni locali nella determinazione di politiche appropriate e differenziate per i diversi territori del Paese.

In conclusione, dunque, si può affermare la difficoltà a ben comprendere l’attuazione della Carta costituzionale – rischiando di non cogliere cosa abbiamo alle spalle nella metà di secolo appena trascorso – senza avere culturalmente convissuto con l’idea di ‘costituzione materiale’ di cui ci aveva parlato Mortati, intendendosi con tale nozione l’interpretazione delle disposizioni costituzionali in modo coerente e compatibile con le esigenze di protagonismo dei partiti della maggioranza di governo e, in tale quadro, con la determinazione delle politiche di sviluppo democratico e costituzionale dagli stessi perseguite.

All’interno dei governi fondati sulla base di tale interpretazione materiale della Costituzione sono state individuate e praticate strategie politiche unitamente a strategie costituzionali, che hanno visto la Carta costituzionale indifesa e anche vilipesa. Il baricentro dell’attenzione politica, ma anche della ricerca scientifico-costituzionale, si è quindi spostato all’esterno della Costituzione formale, nei partiti politici e, soprattutto, nella logica organizzativa che li ha caratterizzati fino agli anni ’90 del secolo scorso.

Ciò è avvenuto con la nota clausola preclusiva (Leopoldo Elia l’ha ben definita conventio ad excludendum59) nei confronti del maggiore partito della sinistra, il Partito comunista e nei confronti del Movimento sociale (ancorché i voti parlamentari di quest’ultimo partito siano stati ampiamente utilizzati a supporto di molti governi di coalizione, a guida democratico-cristiana, succedutisi nel tempo). La Costituzione ha sofferto di tutto questo. Ha vissuto il congelamento di cui si è appena detto, costretta a sopportare la fase di una sua attuazione gradualistica, ivi compreso nell’ambito del regionalismo e dell’autonomismo.

Ne ha registrato tutto lo scotto il ruolo delle autonomie politiche. Le altre autonomie, quelle territoriali – che, invero, conoscevano una definizione costituzionale della loro mission molto più precisa dal punto di vista della positivizzazione costituzionale, con ambiti competenziali molto ben disegnati e che per questo avrebbero dovuto poter funzionare di vita propria –, nella concreta realtà, sono risultate perdenti rispetto ai partiti politici e alle altre autonomie politiche, come quelle sindacali, previste nella Carta con un ruolo di sviluppo della democrazia partecipativa.

La democrazia territoriale ha vissuto, quindi, di vita grama e di quella dipendenza dal centro, intendendo per tale “le teste pensanti” della rappresentanza politico-partitica, ovvero i vertici del sistema partitico nazionale. Dopo gli eventi internazionali del “1989”, si assiste, in Italia, ad una sorta di eterogenesi dei fini per quanto concerne i rapporti fra sistema istituzionale e sistema politico.

A partire da tale data, infatti, con la (piena esplicitazione della) crisi del sistema politico-partitico, il Paese ritrova condizioni ottimali affinché le autonomie regionali e quelle locali riprendessero lo spazio di protagonismo istituzionale che già la Costituzione del ’48 aveva per esse previsto ma che la ‘costituzione materiale’ aveva, nei fatti, se non proprio negato, fortemente svalutato.

Alla fine del decennio ritroviamo, così, le riforme costituzionali del 1999/2001, che vanno a rafforzare la forma di governo regionale, con la disponibilità offerta (costituzionalmente) alle regioni di optare (in sede di statuto) fra un modello di elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e un modello di elezione consiliare (in tale caso, in continuità con il passato).

Un rafforzamento dell’Esecutivo che per molte regioni ha significato, nei fatti, un suo indebolimento, quando si rifletta alla inadeguatezza di quelle opzioni statutarie che hanno ritenuto di poter svalorizzare il ruolo e le funzioni di partecipazione politica istituzionalizzata dei partiti politici. Nel 2001, il processo riformistico arriva a piena maturità con la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà (verticale e orizzontale, melius istituzionale e sociale), con la valorizzazione dei comuni nell’esercizio della funzione amministrativa e con il rafforzamento (ancorché in gran parte incerto e confusionario) delle competenze legislative delle regioni.

In conclusione, dunque, non possiamo comprendere le ragioni profonde della crisi del regionalismo italiano, perdurata anche dopo la riforma costituzionale del 2001, se non teniamo in considerazione che, fino al 1989, si è registrato un protagonismo politico-istituzionale del sistema politico-partitico e una caratterizzazione di tale sistema come poco o per nulla rispettosa della regola costituzionale del “metodo democratico” imposta alla vita interna dei partiti politici.

Nei confronti di tale sistema, dopo il 1989, si è verificato un effetto dirompente, con la crisi del modello del partito politico di massa, che ha visto riscrivere le regole culturali, ideali, statutarie, di riferimento di questi importanti centri politico-comunitari che, per moltissimi profili e con diverso esito, hanno costituito una parte centrale, la vera ‘architrave’, della vitalità democratica e del costituzionalismo del Paese nel sessantennio che abbiamo alle spalle.

Così, soprattutto in ragione della vitalità politica della nostra Costituzione, pienamente confermata dal “patriottismo costituzionale” espresso dal corpo elettorale in sede referendaria, nei sessant’anni appena trascorsi, il tema centrale della politica costituzionale era quello di dare attuazione alla Costituzione in tutte le sue parti – e il Titolo V ne costituiva indubbiamente una parte centrale e innovativa rispetto allo Stato liberale –. Oggi abbiamo un altro tema centrale che è dato dalla crisi della politica, ove quest’ultima è rappresentata da un ceto affannato nella vana ricerca del suo ruolo di tramite, importante ma non certo esclusivo, rispetto all’attuazione della Costituzione.

Per tale ragione, occorre riprendere tale tematica onde bloccare (o almeno limitare) le pericolose derive plebiscitarie e populistiche in corso da almeno un ventennio nel sistema politico-istituzionale del Paese; occorre riprendere tutte le ragioni volte a sostenere – a partire dalla dottrina più avvertita per continuare con tutti i cittadini – un forte senso etico-politico, le ragioni della morale pubblica, quella ‘eticità repubblicana’ senza il cui rispetto rischierebbe di venir meno lo stesso consenso diffuso assicurato fin qui alla Carta costituzionale.

Occorre, per questo, far diventare strategico nella politica istituzionale del Paese, delle regioni e delle comunità locali, la tematica della riqualificazione della rappresentanza politica e con essa il rafforzamento delle funzioni e delle organizzazione rappresentative.

Nell’ottica di una compiuta legittimazione democratica dello Stato repubblicano e dello stesso superamento delle fratture presenti nel Paese, rispetto ad una condivisa identità nazionale, occorre ricercare e convenire su una tavola comune di valori democratici, sui quali non è dato confliggere politicamente e culturalmente ma che vanno accolti come presupposto ad ogni confronto politico e ideale.

L’obiettivo di una simile strategia (culturale e politica) è quello di portare a compiuta maturazione il modello di democrazia costituzionale elaborato sessanta anni addietro, nella fase costituente (patto costituzionale) fra le forze politiche popolari, operando in tal modo un ricongiungimento sotto
l’alveo costituzionale delle distinte (e ancora conflittuali) identità politiche, espressioni di diverse e risalenti ‘comunità di valori’, per troppo tempo indisponibili ad ascoltare le ragioni dell’altro.

La conclusione, così, rinvia alla sottolineatura di una necessarietà culturale, politica e storica, quella di una ricongiunzione fra identità nazionali fin qui praticate nel Paese e Stato repubblicano. Un mancato perseguimento di un simile obiettivo lascerebbe il Paese combattuto sulla piena validità dei suoi valori costituzionali e sulla relativa loro idoneità a costituire motivo di superamento delle divisioni e della definitiva condivisione dell’Unità nazionale.

Un contrasto – questo – che impedirebbe il necessario consenso sui processi di riforma utili se non anche necessari, sia nella razionalizzazione della forma di governo parlamentare sia nella modernizzazione dei processi e degli apparati amministrativi.

1 Per i profili comparati, fra gli altri, cfr. almeno cfr. P. Biscaretti Di Ruffia, Corso di diritto pubblico comparato, Milano, 1984; G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, Padova, 1981; G. De Vergottini, “Modelli comparati di autonomie locali”, in Aa.Vv., Organizzazione e diritto delle regioni, 1982; G. Lombardi, Premesse al corso di diritto pubblico, Milano, 1986; A. Pizzorusso, Corso di diritto comparato, Milano, 1983; C. Mortati, Le forme di governo, Padova, 1973; L. Elia, “Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, (ad vocem).

2 Cfr. F. Barbagallo, “Da Crispi a Giolitti. Lo Stato, la politica, i conflitti sociali”, in G. Sabbatucci e V. Vidoto (a cura di), Storia d’Italia. III. Liberalismo e democrazia 1887-1914, Roma-Bari, 1995.

3 Nella letteratura in lingua italiana, cfr., almeno, P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia (1848-1995), Roma, 1997.

4 Cfr. M.S. Giannini, “I pubblici poteri negli Stati pluriclasse”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1979; S. Cassese, “I caratteri originari e gli sviluppi attuali dell’amministrazione pubblica italiana”, in Quaderni costituzionali, 1987, 3; S. Cassese, “Concentrazione e dispersione dei poteri pubblici”, in Il comune democratico, 1983; Biscaretti di Ruffia nella sua “Introduzione” a “La regionalizzazione in Europa occidentale”, in Aa.Vv. (Archivio I.S.A.P.), La regionalizzazione, Milano, 1983; G. Bognetti, “Le regioni in Europa: alcune riflessioni sui loro problemi e sul loro destino”, in Le regioni, 1984, 6; L. Vandelli, Poteri locali, Bologna, 1990.
  
5 Sul punto, sia consentito rinviare anche al nostro Partiti politici e forma di governo, Napoli, 1977.

6 Cfr. L. Riall, Il Risorgimento. Storia e interpretazioni, Roma, 1994; A. Banti, La nazione del Risorgimento, Torino, 2000; D. Beales ed E. Bigini, Il Risorgimento e l’unificazione italiana, Bologna, 2002).

7 Fra altri, cfr. AA.VV., La Rivoluzione Napoletana del 1799, Napoli, 1899 (Ristampa anastatica); G. Marotta, Ideali etici e politici e primato della cultura nella storia del Mezzogiorno, 1991.

8 Cfr. G. Ressa, Il Sud e l’Unità d’Italia, Napoli, 2004 e soprattutto C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia (1848-1948), Roma-Bari, 1983 (cap. III dedicato alla “unificazione politica e alla costruzione dell’aparato statale”).

9 Cfr. R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita (1855-1864), Firenze, 1999.

10 Cfr. D. Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Bari, 1976; A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, 1997.

11 Cfr. G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, Imola, 1906-90, vol. LXXVII; Id., Pensieri sulla democrazia in Europa, Milano, 2007 (ult. ed. a cura di S. Mastellone). Fra gli altri, cfr. anche R. Sarti, “Giuseppe Mazzini e la tradizione repubblicana”, in M. Ridolfi (a cura di), Almanacco della Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie republbicane, Milano, 2003.

12 Cfr. A. Scirocco, Garibaldi, Bari, 2001; A. Herzen, Mazzini e Garibaldi, Roma, 1995.

13 Cfr. L. Cafagna, Cavour, Bologna, 2002; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, Bari, 1969.

14 Del quale, in particolare, si veda l’opera (postuma) La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859. Osservazioni comparative.

15 Cfr. F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, 1951; R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita (1855-1864), Milano, 1999, p. 243 ss.

16 Cfr. C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia (1848-1948), Roma-Bari, 1983; C. Ghisalberti, Stato Nazione e Costituzione nell’Italia contemporanea, Napoli, 1999; F. Cammarano, Storia politica dell’Italia liberale, Bari, 1999; R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita (1855-1864), Milano, 1999; A. Banti, La nazione del Risorgimento, Torino, 1985; G. Lombardi, Principio di nazionalità e fondamento della legittimità dello Stato, Milano, 1975; M. Cossutta, Stato e Nazione. Un’interpretazione giuridico-politica, Milano, 1999.

17 Cfr. A. Giovagnoli, “Storia d’Italia, storia della Repubblica. Le interpretazioni e le discussioni storiografiche”, in M. Ridolfi (a cura di), Almanacco della Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Milano, 2003.

18 Cfr. C. Pavone, “Le idee della Resistenza: fascisti e antifascisti di fronte alla tradizione del Risorgimento” (1959), ora in Id., Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, 1995; M. Baroni, “Miti di fondazione. Il Risorgimento democratico e la Repubblica, in M. Ridolfi (a cura di), Almanacco della Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie republbicane, Milano, 2003.

19 Cfr. P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996), Bologna, 1997; M. Fioravanti, “Costituzione, amministrazione e trasformazione dello Stato”, in A. Schiavone (a cura di), Stato e cultura giuridica in Italia dall’unità alla Repubblica, Roma-Bari, 1990.

20 Cfr. U. Chiaramonte, Il dibattito sulle autonomie nella storia d’Italia (1796-1996). Unità – federalismo – Regionalismo – Decentramento, Milano, 1998; Id., “Le autonomie nella storia d’Italia”, in Storia contemporanea in Friuli, 1999, n. 30.

21 Cfr. G. Ressa, Il Sud e l’unità d’Italia, Napoli, 2005.

22 Cfr. L. Del Boca, Indietro Savoia, Milano, 2003.

23 Cfr. D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, Roma- Bari, 1999. Nella stessa ottica, Paolo Mieli (Storia e politica. Risorgimento, fascismo e comunismo, Milano, 2001) sottolinea che “… la stagione risorgimentale e post-risorgimentale è fatta di migliaia di morti, lotte, spari, massacri … il popolo rimase sordamente ostile, perché legato all’autorità borbonica non percepita come nemica e alla Chiesa cattolica, che era una delle fonti istituzionali alle quali abbeverarsi. Il fenomeno ricordato nei nostri manuali come brigantaggio in realtà fu una guerra civile che sconvolse l’intero sud …”.
    
24 Cfr. B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Bari, 1932.
    
25 Cfr. A. Gramsci, Il Risorgimento, Torino, 1949.
    
26 Cfr. S.J. Wolf, Il Risorgimento italiano, Torino, 1981; R. Romeo, Risorgimento e capitalismo, Bari, 1959.
    
27 Cfr. U. Cerroni, Precocità e ritardo nell’identità italiana, Roma, 2000; S. Romano, Storia d’Italia dal Risorgimento ai nostri giorni, Milano, 1998; F. Adornato, “L’Unità e l’identità della Nazione di fronte alle sfide del XXI secolo”, in I Quaderni di Liberal, Dicembre 2009.
    
28 Cfr. U. Levra, Fare gli italiani. Memoria e celebrazione del Risorgimento, Torino, 1992; S. Soldani e G. Turi (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, Bologna, 1993; F. Tarozzi e G. Vecchio (a cura di), Gli italiani e il tricolore. Patriottismo, identità nazionale e fratture sociali lungo due scoi di storia, Bologna, 1999.
    
29 Cfr. N. Bobbio, Carlo Cattaneo e gli Stati uniti d’Italia, Torino, 1945. Cfr. anche M. Tesoro, “Il federalismo democratico. Dal Risorgimento all’Assemblea Costituente”, in in M. Ridolfi (a cura di), Almanacco della Repubblica. Storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie republbicane, Milano, 2003.
    
30 Cfr. G. Carocci, “L’allargamento del suffragio nel 1882”, in I. Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dall’Unità al fascismo, Bologna, 1976.
   
31 Cfr. C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia (1848-1948), Roma-Bari, 1983.
    
32 Cfr., almeno, G.E. Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione. Una società tra identità nazionale e integrazione europea, Bologna, 1993; Id., Patria e Repubblica, Bologna, 1997: M. Viroli, Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Roma-Bari, 1995; E. Galli Della Loggia, La morte della patria. La crisi dell’idea di nazione tra Resistenza, antifascismo  e Repubblica, Roma-Bari, 1996.
    
33 Cfr. C. Ghisalberti, Storia costituzionale … cit.; A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, 1962.
    
34 Fra gli altri, cfr. F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Madrid, 1983; R. Villani, Il Sud nella storia d’Italia, Bari, 1970; M. Petrusewicz, Come il Meridione divenne una Questione, Soveria Mannelli, 1998; S. Scarpino, La guerra ‘cafona’. Il brigantaggio meridionale contro lo Stato unitario, Milano, 2005.
    
35 Cfr. G. Ruffolo, Un paese troppo lungo. L’unità nazionale in pericolo, Torino, 2009.
    
36 Cfr. R.D. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Milano, 1993.
    
37 Cfr. S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma, 2004.
    
38 S. Cassese l’ha descritta come ‘meridionalizzazione’ della burocrazia pubblica, in Questione amministrativa e questione meridionale. Dimensioni e reclutamento della burocrazia dall’Unità ad oggi, Milano, 1977.
    
39 Cfr. G. Ruffolo, Un paese troppo lungo … cit.
    
40 A fronte di questo scenario, un solo dato per tutti al fine di ricordare come il Sud ha provato a risolvere i suoi problemi di sostanziale abbandono, nella fase post-unitaria fino ad epoca più recente: dal 1861 ai primi anni ’70 del ’900, circa ventisette milioni di italiani sono emigrati all’estero (nelle Americhe e in Paesi europei); nei soli primi venti anni del ’900, dei 4.711.000 italiani emigrati in America, ben 3.374.000 provenivano dal Mezzogiorno. Si tratta di cifre che, se confrontate con la più modesta emigrazione odierna dal continente africano, fanno seriamente riflettere sul vero e proprio spopolamento dell’Italia dopo e a seguito dei processi di unificazione politica del Paese (A.F. Rolle, Gli emigrati vittoriosi, Milano, 2003).
    
41 La definizione è sempre di Giorgio Ruffolo, op. cit.
    
42 Cfr. A. Spadaro, “Costituzionalismo versus populismo (Sulla c.d. deriva populistico-plebiscitaria delle democrazie costituzionali contemporanee)”, in Scritti in onore di Lorenza Carlassare, Napoli, Vol. V, 2009; S. Gambino, “La forma di governo in Italia fra Parteienstaat e Premierato assoluto”, in Scritti in onore di Franco Modugno (in corso di stampa).
  
43 Cfr. G. Marotta, “Pasquale Saraceno. Unità nazionale e Mezzogiorno” (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli), per il quale “… il vero scontro (esistente nel Mezzogiorno d’Italia) è quello tra il potente, implacabile e spietato «blocco sociale» e lo Stato, tra la cultura mafiosa, cioè la cultura del non Stato, e la vera cultura che è quella delle istituzioni. Il vero obiettivo del «blocco sociale» non è lo sfruttamento del lavoro dei contadini e degli operai, ma è il saccheggio del pubblico erario attraverso procedure distorte e deroghe legislative e la riduzione a plebe, a mafia e camorra, di una parte delle nuove generazioni. Viene così impedita nel Mezzogiorno ogni possibilità di vita democratica e soffocato il respiro e l’affermazione dello Stato moderno. La violenza privata costringe intere popolazioni a vivere nella cultura del degrado, in una realtà urbanistica che è l’immagine palpabile della cultura del «blocco sociale» e del trionfo della pratica mafiosa e camorristica: strutture fatiscenti, da Agrigento a Napoli e al suo hinterland fino alla capitale della Repubblica e oltre, condizioni di disperata precarietà, un orrore ambientale e urbanistico. Un intero popolo è stato costretto ad emigrare in tutte le direzioni e a vivere in una situazione precaria di povertà o di semipovertà perché qualunque provvidenza dello Stato, qualunque risorsa degli enti pubblici viene rapinata e saccheggiata dal «blocco sociale» che impone la cultura del degrado, che abbassa ogni tentativo di cultura alla sub-cultura del privato, che costruisce pessime ed inutili opere pubbliche, riuscendo a strappare allo Stato e agli enti pubblici la programmazione e la direzione dei lavori pubblici e dei collaudi; che costringe la popolazione a vivere in abitazioni fatiscenti, in un degrado generale delle strutture abitative, scolastiche, ospedaliere, universitarie, che usa la camorra per incendiare e far saltare le opere pubbliche, come il Palazzo di giustizia nel Centro direzionale di Napoli, perché mal progettate e mal costruite. Il «blocco sociale» abbassa il livello morale della società civile, si espande in tutto il paese e allunga gli artigli sulle grandi opere pubbliche dell’intero territorio, sulle costruzioni ferroviarie, sulle canalizzazioni dei fiumi, provoca gli incendi dei boschi, costruisce con denaro pubblico immensi stabilimenti industriali destinati fin dall’inizio alla rottamazione e fa terra bruciata di ogni risorsa e tutto saccheggia, vivendo non degli ideali della cultura, ma dell’ideale «di un’allegra giornata di saccheggio» come scrive Croce nella Storia del Regno di Napoli”.

44 Sul punto, rinviamo agli approfondimenti operati nel saggio storico di R. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico nell’Italia liberale, Bologna, 1980.

45 Cfr. R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita … cit.; A. Scirocco, Governo e Paese nel Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione (1860-1861), Milano, 1963.

46 Cfr. S. Gambino, “Istituzioni territoriali e Politica: ripensare il regionalismo politico del Paese”, in Astrid Rassegna, 2008, Vol. 63, n. 1.

47 Cfr. M. Pacini, Scelta federale e unità nazionale. Scelta federale e unità nazionale, Torino, 1994.

48 Cfr. G. Ruffolo, op. cit.

49 Cfr. G. Dorso, La rivoluzione meridionale, Torino, 1945.

50 Cfr. G. Salvemini, Scritti sulla questione meridionale (1896-1955), Torino, 1955.

51 Cfr. G. Ruffolo, op. cit.

52 Cfr. C. Ghisalberti, Unità nazionale ed unificazione giuridica, Roma-Bari, 1979; P. Aimo, Stato e poteri locali in Italia (1848-1995), Roma, 1997; E. Ragionieri, “Accentramento e autonomie: istanze e programmi”, in I. Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dall’Unità al fascismo, Bologna, 1976.

53 Cfr. A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano, Venezia, 1962; C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica. Da Rattazzi a Ricasoli (1859-1866), Milano, 1964; M.S. Giannini, “Autonomie comunali e controlli statali”, in I. Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dall’Unità al fascismo, Bologna, 1976; U. Chiaramonte, “ Le autonomie nella storia … cit., p. 12 ss.

54 Cfr. P. Farneti, “La classe politica della Destra e della Sinistra”, in I. Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dall’Unità al fascismo, Bologna, 1976.

55 Cfr. C. Ghisalberti, Storia costituzionale … cit.

56 Cfr. G. Talamo, “Il problema  delle Regioni nella cultura politica del Risorgimento”, in AA. VV., Le Regioni, Torino, 1971.

57 Nell’ampia bibliografia, sul punto, cfr. anche, di recente, S. Gambino (a cura di), Diritto regionale, Milano, 2009 e la bibliografia ivi citata.

58 Cfr. C. Mortati, La costituzione in senso materiale, Milano, 1940. Cfr. inoltre M. Galizia e P. Grossi (a cura di), Il pensiero giuridico di Costantino Mortati, Milano, 1990; M. Galizia (a cura di), Forme di Stato e forme di governo: nuovi studi sul pensiero di Costantino Mortati, Milano, 2007.

59 Cfr. L. Elia, “Governo (forme di)”, in Enciclopedia del diritto, ad vocem.

 

 

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