Per la questione meridionale non c'è più tempo

Il Mezzogiorno è oggetto di una lettura residuale

Il dibattito post risultati del referendum celebrato in Lombardia e Veneto sta disvelando le vere strategie dei governatori e delle forze politiche. Come tutte le proposte aperte e indeterminate,  che nascono in un contesto fatto da insofferenza (verso la pressione fiscale) e disagio (verso la crisi economica e l’inefficienza degli apparati statali), il referendum ha avuto un facile successo perché ognuno vi ha proiettato i propri desideri. Quelli neoregionalisti di Bassetti, quelli iperfederalisti di Zaia, quelli differenziati di Maroni. E quello ellittico, inteso come lo spazio ad oggi vuoto, lasciato dal Pd. Tralasciamo la proposta, quasi una barzelletta, delle forze di centrodestra, della estensione alle regioni del Sud del referendum per conquistare autonomia (una sorta di nuovo sinonimo di minori risorse e maggiore povertà). Cerchiamo di capire invece il silenzio del Pd. Il Pd meridionale e quello calabrese in particolare non hanno reagito né alla strisciante criminalizzazione della Calabria che è la premessa storica per la riduzione dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno, né al lodevole tentativo del governo Gentiloni di riaprire la Questione meridionale incardinando con De Vincenti un ministero ad hoc.

Il Mezzogiorno è invece oggetto di una lettura residuale che è figlia di una logica perversa che scientemente lo ha rimosso dal dibattito nazionale. La logica cioè della criminalizzazione e quindi di una giusta rimozione che uno studioso come Galli della Loggia ha avuto il merito di denunciare già nel 2015 nel silenzio della politica meridionale .La conseguenza con il referendum si chiama riapertura della Questione Settentrionale a geometria variabile. Strisciante da parte della Regione Emilia che richiede il federalismo differenziato. Incostituzionale da parte di Zaia che ha chiesto i voti per trattare l’articolo 116 ma ora li vuole usare per diventare Regione a statuto speciale. Di governo da parte di Maroni che ha una vera e propria via lombarda al federalismo differenziato e chiede qualcosa in più dell’Emilia. In Calabria gli interventi tempestivi che segnalavano il rischio del basso profilo si contano sulla punta delle dita: il prof. Walter Nocito, il prof. Ettore Jorio e pochi altri.

I NODI Le domande che si agitano dal referendum sono almeno due. La prima è una rivendicazione fiscale. Pari pari la riaffermazione del principio di territorialità delle imposte da cui deriverebbe la presunta illegittimità del trasferimento del residuo fiscale dai territori al governo centrale e la conseguente redistribuzione ai territori a minore capacità fiscale. Molto cara alla Lega da Bossi a Calderoli a Zaia. Ma tale redistribuzione non avviene solo a beneficio delle del Sud ma anche per quelle regioni a statuto speciale e per le regioni piccole anche del centro nord. La questione è improponibile perché mina alla base il concetto stesso di Stato nazionale e sul piano finanziario basterebbe pensare che il residuo fiscale trasferito da Nord a Sud è perfettamente compensato dall’attivo della bilancia commerciale delle stesse regioni cedenti. In sostanza le regioni del Nord producono di più, sopportano conseguentemente un prelievo maggiore ma il Sud acquista le loro merci e i loro servizi per una cifra sostanzialmente corrispondente al residuo fiscale.
Ancora, poiché il nostro sistema tributario è nazionale, i gemelli Oliverio e Maroni, separati alla nascita, a parità di reddito pagano le stesse imposte ma il primo residente in Calabria, anche a causa della minore ricchezza del proprio vicino, riceve meno servizi dallo Stato e dalla Regione e sopporta una maggiore pressione tributaria locale mentre il secondo riceve a Milano migliori servizi con una minore pressione complessiva. Va da sé chi si dovrebbe lamentare della pressione fiscale e tributaria e della inefficienza dello Stato. Ciò non accade perché l’economia, direbbe Richard Thaler fresco di nobel, incontra la psicologia. Il problema del residuo è quindi dei singoli cittadini più che dei territori.  La rivendicazione di Zaia è quindi tecnicamente confusa se solo pensiamo  che con la legge delega sul Federalismo Fiscale la Lega aveva mantenuto a malincuore (non si aveva il tempo di cambiare anche la Costituzione) i privilegi delle Regioni a statuto speciale mentre oggi questa diventa tout court la pretesa della Regione Veneto.
La seconda domanda che emerge è una richiesta di federalismo differenziato e cioè di maggiori competenze da attribuire alle Regioni. E’ la strada indicativamente di Maroni col referendum e di Bonaccini (presidente dell’Emilia) con una semplice lettera. Le Regioni più forti e ricche e anche per questo più efficienti, chiedono “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” (articolo 116 Costituzione). L’Emilia chiede di potere operare da sola nei settori della tutela e sicurezza del lavoro, della ricerca e dell’innovazione, del territorio, dell’ambiente e delle infrastrutture, della tutela della salute, del coordinamento della finanza pubblica. La Lombardia naviga bene senza bisogno di iperbole e mantiene lo stile di chi sa governare e si candida a fare meglio.

COLPEVOLI SILENZI Cosa colpisce da tutto ciò? Ancora una volta l’assenza del Sud cui si risponde con l’ennesimo tentativo di riesumare il ponte sullo Stretto (vedi stucchevoli dichiarazioni di Del Rio e Armani) e verso cui il programma nazionale degli investimenti disegna un ulteriore divergenza nelle infrastrutture (per non parlare delle scelte sul sistema portuale). I parlamentari e le Regioni del Mezzogiorno non hanno presidiato le leggi di riforma del riparto dei principali servizi. Infatti i nuovi criteri di riparto per il trasporto pubblico locale favoriscono matematicamente i territori con maggiore densità abitativa e ricchezza. Le norme che presidiano il riparto del fondo sanitario nazionale non tengono ancora conto degli indici di deprivazione che sono una determinante fondamentale della domanda di servizi sanitari e quindi di costo.
Si tace che la spesa pubblica nel Mezzogiorno è più bassa e che solo grazie ai fondi europei e cioè a quelle che dovrebbero essere risorse aggiuntive (e sono invece sostitutive) esiste al Sud una spesa in conto capitale e cioè per investimenti. Tutto ciò dimostra che il problema della perequazione infrastrutturale è ancora rimosso e ciò deriva anche da una impostazione e traduzione errata della legge delega sul Federalismo Fiscale. Va da sé che senza perequazione infrastrutturale ed investimenti i territori meno sviluppati rimangono tali e i residui fiscali servono solo a tentare di perequare i servizi.
Addirittura se si analizza la destinazione delle risorse nazionali destinate agli investimenti risulta evidente uno spread a sfavore del Mezzogiorno e ne sa qualcosa la Regione Calabria che ha finanziato nel progetto ferroviario della ionica molto di competenza di RFI. 

FALLIMENTO DELLO STATO E DELLE REGIONI Allora ecco che su queste basi la tentazione della Destra Venoto-Lombarda (e in parte della sinistra emiliana) è quella di fotografare la diversità. La questione più bizzarra nell’attuale panorama nazionale è che per ridurre la redistribuzione sui servizi si punti a una divergenza istituzionale. Il corollario che manca è evidenziato dalla mancanza di strategia e reazione delle Regioni del Sud che invece di invocare una perequazione degli investimenti nazionali si allontanano dal disegno dell’articolo 117 della Costituzione perché commissariate dall’articolo 120! Emerge quindi il fallimento dello Stato almeno quanto il fallimento delle Regioni del Sud.  E il fallimento richiede luoghi comuni e capri espiatori. I piani di rientro inefficaci richiedono l’esistenza di Regioni canaglia che non vogliono rifunzionalizzare i servizi. La mancanza di una strategia capace di eradicare la criminalità organizzata richiede una criminalizzazione di massa e l’indicazione di eroi solitari che lottano contro sistemi irredimibili e in continuo contagio. L’inaccessibilità del Mezzogiorno richiede non una solida visione trasportistica ma l’opera immaginifica del Ponte sullo Stretto. Il malfunzionamento della giustizia richiede una corruzione che si combatte dilatando in maniera incivile i tempi della prescrizione invece di dare certezza al diritto e alla giurisdizione.
La Questione settentrionale riemerge questa volta come desiderio di costituzionalizzare i divari  (con nuove Regioni a statuto speciale e riducendo il residuo fiscale diretto al centro).
Per la Questione meridionale e per quella nazionale sempre più interconnesse pare che non ci sia tempo. A meno che, dopo che i governi Renzi e Gentiloni hanno condotto l’Italia oltre capo Horn, se una notte d’inverno un viaggiatore (romanzo di Italo Calvino liberamente dedicato al viaggio in treno di Renzi) e in un giorno di autunno i calabresi (e magari il Pd calabrese)…

 *ex assessore regionale

Pubblicato su [Corriere della Calabria] il 25/10/2017

 

 

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