Per il bene dell'Italia - Il giorno del Programma
L'intervento di Romano Prodi
Redazione
Care italiane, cari italiani, cari amici da tutto il mondo. Mi riferisco ai tanti italiani che dall’estero ci seguono via internet e daranno il loro voto alla nostra lista e ai nostri candidati il 9 aprile, oggi presentiamo un grande progetto per il governo dell’Italia, “per il bene dell’Italia” come abbiamo voluto intitolarlo.
Ed è un impegno vincolante per tutti noi.
L’impegno di governare assieme, per cinque anni, un Paese che ha grandi risorse non utilizzate, grandi energie non attivate, grandi intelligenze non mobilitate, e che ha bisogno, disperatamente bisogno, di una guida salda e fortemente riformatrice per tornare a crescere, e a svolgere il suo grande ruolo in Europa e nel mondo.
L’impegno di governare assieme, per cinque anni, seguendo il percorso tracciato dal nostro programma.
Ad esso hanno lavorato per mesi, con passione e intelligenza, uomini e donne della nostra Alleanza: quasi 500 persone hanno contribuito al lavoro delle 12 commissioni. A loro va il ringraziamento di noi tutti. Ma voglio anche ricordare le migliaia di contributi di semplici cittadini arrivati alla Fabbrica del programma. Oltre 3000 interventi diretti nelle 21 iniziative con più di 6000 proposte scritte, e ne stanno ancora arrivando… E’ un modo di lavorare nuovo, un lavoro svolto con serietà e dedizione, un lavoro per gli italiani e con gli italiani. Perché noi non ci riempiamo la bocca parlando “della gente”. Noi abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente tra la gente.
Prima ancora che il merito voglio qui sottolineare lo spirito con cui ci siamo mossi e il metodo che abbiamo seguito. Lo spirito di unità che ci ha animato, la volontà costruttiva che ha guidato tutti noi nel mettere a fuoco i tanti problemi e le soluzioni che proponiamo all’attenzione degli elettori.
Le differenze, quando si sono palesate – ed era inevitabile per l’ampiezza della nostra Alleanza – sono state affrontate con il dialogo, con spirito costruttivo, con rispetto reciproco, fino a trovare la soluzione condivisa. Non ci sono state imposizioni.
E questa è per me anche una buona indicazione del metodo con cui intendiamo governare.
E’ questo il nostro primo grande risultato: avere realizzato il proposito, che a molti appariva velleitario, di approvarlo insieme e di legarci ad esso in un patto di governo.
A differenza della Destra, noi oggi ci presentiamo alle elezioni del 9 aprile con un candidato alla guida del governo che i partiti della Alleanza e quattro milioni e trecentomila elettori - in quell’evento straordinario, mai visto in nessun altro paese europeo, che sono state le primarie del 16 ottobre – hanno concordemente designato.
Un candidato, non tre.
E a differenza della Destra, noi ci presentiamo alle elezioni con un programma di governo che oggi sottoscriviamo e a cui ci riteniamo vincolati
L’elettore che vota per le liste della Destra non sa, in caso di vittoria, chi avrà il compito di guidare il governo. E non sa quale sarà il programma, perché ognuno dei tre che aspira esplicitamente a guidarlo ne ha uno proprio, e solo le urne potrebbero dire quale prevarrà.
Il 9 Aprile voteremo con la nuova legge elettorale. Essa rappresenta un grave arretramento rispetto alla grande novità portata dal sistema maggioritario e dal bipolarismo, che aveva dato al cittadino elettore due certezze: un nome certo per la guida del governo, un impegno certo sul piano dei programmi.
E’ la conseguenza sciagurata di una legge elettorale che è stata approvata per impedirci di governare limitando artificiosamente i margini di maggioranza.
Una legge contro l’Italia, l’ho definita, perché il nostro paese ha disperatamente bisogno di essere governato. Essa è stata approvata nella speranza di sottoporre la nostra Alleanza a tensioni disgregatrici.
Se tensioni disgregatrici ci sono, esse sono nella alleanza della Destra, tra ambizioni personali e corse a posizionarsi per il dopo Berlusconi, che è già iniziato. Perché la verità è che alla vittoria non credono neppure loro.
Questa nostra manifestazione dimostra che la speranza di chi quella legge ha pensato e imposto non si è realizzata.
Noi siamo qui, siamo uniti tra noi, offriamo agli elettori una guida certa e un programma condiviso.
Lo offriamo prima del voto: per noi, anche se la legge è cambiata, vale ancora quel patto con gli elettori, fatto di chiarezza e responsabilità, che ha segnato il passaggio dall’Italia del proporzionale e dei mille governi che stavano in carica dieci mesi, all’Italia dei governi stabili per l’intera legislatura.
La stabilità, negata dalla legge, può essere garantita da un atto collettivo di volontà politica, da un impegno d’onore che ci assumiamo nell’interesse dell’Italia.
E’ per questo che siamo qui oggi.
Ho parlato di un grande progetto per l’Italia, perché quello che approviamo oggi è molto di più di un programma. E questo spiega la sua ampiezza. Non dubito che a questo riguardo si eserciteranno le ironie di quanti per due anni hanno perentoriamente invocato il nostro programma, sperando che la sua elaborazione ci avrebbe irrimediabilmente divisi.
Ma la realtà è che, di fronte ai problemi che tormentano la nostra Italia, noi avevamo il dovere di offrire ai cittadini una visione completa della filosofia con cui opereremo e delle soluzioni che proponiamo.
In questo programma ci sono le coordinate entro cui si muoverà l’azione del governo.
All’interno di esse noi indichiamo le nostre priorità, tenendo conto dell’orizzonte temporale in cui si muove il governo, delle necessarie compatibilità finanziarie. Per cui il tempo necessario ad un serio ed approfondito dibattito parlamentare non sarà tempo perso.
E’ importante che i cittadini tutti e anche gli osservatori internazionali, possano comprendere entro quale percorso riformatore si inseriscono i singoli provvedimenti e il disegno complessivo che li ispira.
Siamo consapevoli che in molti settori occorreranno interventi radicali da operare per via legislativa. Ma molto deve essere anche fatto intervenendo, come ho avuto modo di dire, “con il cacciavite”, per fare funzionare a dovere gli ingranaggi della Pubblica Amministrazione.
E poiché molti degli approcci qui suggeriti, delle soluzioni qui prospettate, non richiedono tanto interventi legislativi quanto appunto una decisa e tenace azione amministrativa, si può ben dire che nel progetto si trovano anche le linee guida per l’azione, dopo il 9 aprile, avrà la responsabilità di guidare i ministeri e dare attuazione pratica al nostro progetto.
E c’è un filo che lo tiene insieme e che balza agli occhi da ogni pagina: questo è il progetto di governo di una coalizione che sta dalla parte dei cittadini, che si fa carico delle ansie, delle paure, delle preoccupazioni, delle speranze, delle aspirazioni dei cittadini.
C’è oggi chi, non possedendo altri argomenti per mancanza di risultati, cerca disperatamente di dipingere una Italia divisa dalla ideologia. C’è chi si diletta nell’esercitare una strategia ci comunicazione molto sofisticata: un secchio di sterco la mattina e uno la sera addosso agli avversari e dipingere tutta l’Italia di rosso. (Ormai lo disturba anche vedere passare una Ferrari).
E’ vero, gli italiani sono divisi: ma non dall’ideologia.
Dopo cinque anni di governo della Destra, gli italiani sono divisi fra chi ha tanto e chi ha poco, tra chi si è sfacciatamente arricchito e chi si è impoverito, tra chi ha evaso sistematicamente il fisco ed è stato premiato, e chi ha pagato le tasse fino all’ultimo euro, tra chi si è sentito ampiamente confortato dall’azione del governo e i tanti che sono stati abbandonati da questo governo. Queste sono le divisioni che vogliamo eliminare.
Gli elettori sanno che il nostro governo starà, sempre, dalla parte dei cittadini. Non sarà un governo per pochi ma per tutti. Non farà gli interessi di pochi, e tantomeno di uno solo, ma gli interessi di tutti. Questa è la prima, enorme differenza, tra noi e la Destra. Io sono certo che nella nostra azione di governo non li deluderemo. So però, per realismo ed esperienza, che potranno venire momenti di difficoltà, tanto più forte quanto più incisiva, radicale, sarà la nostra azione di governo.
Ma potremo mantenere l’indispensabile consenso perché i cittadini sanno che le donne e gli uomini dell’Unione, le donne e gli uomini che si assumeranno la responsabilità di governare, non hanno altri interessi da tutelare e promuovere che non siano gli interessi dei cittadini.
Noi agiremo “per il bene dell’Italia”.
E niente è più importante per il bene dell’Italia che il nostro Paese torni a crescere. Questa è la priorità delle priorità. Perché se non torniamo a crescere tutto diventa più difficile, tremendamente difficile, e poco o niente è possibile.
Io non uso a cuor leggero la parola declino. Ma neppure posso ignorare il fatto che negli ultimi cinque anni tutti gli indicatori sono peggiorati. La manifestazione più evidente del declino è l’abbassamento del tasso di crescita della produttività. Esso negli ultimi cinque anni – unico paese europeo – ha addirittura assunto valori negativi.
Sono gli anni del governo della Destra, che ha accompagnato il declino senza contrastarlo.
Questo Governo non ha contrastato il declino o perché non ha compreso la natura strutturale della crisi che viviamo, del venire a maturazione con velocità accelerata di un insieme di problemi che certo hanno avuto una protratta incubazione, ma proprio in questi anni hanno raggiunto la massa critica.
O perché non ha avuto la capacità, la voglia, la forza di affrontarne le principali manifestazioni con politiche appropriate.
Nessun artificio polemico, nessun diversivo propagandistico sbandierato con un misto di cinismo e leggerezza intellettuale da chi ha avuto la responsabilità della guida dell’economia, può mascherare questo fatto.
E allo stesso tempo è stato creato un disastro finanziario che costituisce una pesante eredità. Un’eredità che non possiamo nemmeno accettare con il beneficio di inventario.
Di qui la prima indicazione. Una politica dei due tempi, che faccia precedere il risanamento finanziario agli interventi per lo sviluppo e la redistribuzione del reddito, non è possibile.
Non è possibile perché se l’economia non torna a crescere diventa inattuabile il risanamento stesso. Ci avviteremmo in una spirale tale da condurre il sistema economico sull’orlo del collasso.
L’Italia – voglio affermarlo subito con assoluta convinzione - ha le energie per superare la crisi. Ma per tornare a crescere sono indispensabili una grande mobilitazione di tutti i cittadini e cambiamenti profondi nei comportamenti che tengono assieme l’economia e la società. Non bastano piccoli aggiustamenti, occorrono riforme radicali. Non potremo ottenere una ripresa di competitività complessiva del sistema-paese senza profonde innovazioni del sistema produttivo, senza un percettibile miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini, senza una attenzione nuova alla qualità della vita delle famiglie.
Per la qualità della nostra vista è indispensabile un maggior rispetto per l’ambiente. Il degrado dell’ambiente naturale sta letteralmente cambiando la terra sotto i nostri piedi. Stiamo consumando in modo scriteriato acqua, aria, terra ed energia. Stiamo cancellando la bellezza stessa dell’Italia, il frutto di una natura generosa e di secoli di lavoro e di genio artistico. Se non facciamo della difesa dell’ambiente una priorità assoluta incorporando le “ragioni della natura” in tutte le nostre politiche, impoveriremo in modo irrimediabile la nostra società. Ogni generazione ha il dovere morale di lasciare a quelle la seguiranno la possibilità di vivere una vita migliore. A questo impegno non vogliamo sottrarci.
Ma tutto questo sarà realizzabile solo con un governo che, oltre alle idee e alla determinazione nel concretizzarle, abbia la capacità di motivare e mobilitare le energie del Paese.
Un governo che sia esso stesso – per lo spirito con cui mostra di agire, la sua condotta, l’equità delle sue politiche in ogni campo – un potente fattore di coesione della società, dopo le lacerazioni, le contrapposizioni, le forzature, le imposizioni che hanno marcato la condotta di governo della Destra.
Questo è il governo che offriamo agli italiani.
E come primo provvedimento noi intendiamo ridurre sensibilmente l’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente, in una misura che ho già avuto l’occasione di quantificare in cinque punti nel primo anno di legislatura. Una riduzione che, andando a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, sarà capace di riagganciarci alla ripresa europea, di avviare un nuovo ciclo di investimenti, di stimolare una ripresa dei consumi. Una riduzione che attenuando di molto la convenienza dei contratti atipici contribuirà a contrarre l’area del precariato.
Essa andrà accompagnata con una politica del lavoro capace di armonizzare flessibilità e stabilità superando, attraverso significative modifiche, di quella che è impropriamente chiamata legge Biagi una inaccettabile precarietà permanente che sta penalizzando una intera generazione di giovani. Una generazione che rischia di essere frustrata nelle sue aspirazioni e di essere condannata ad un domani di pensioni miserevoli. La riduzione dell’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente andrà accompagnata infine a una politica industriale volta a rafforzare la dimensione e la solidità finanziaria delle imprese.
Abbiamo idee, le attueremo, le sperimenteremo, pronti a scartare ciò che non funziona, pronti a battere altre strade se necessario.
Ecco, in qualche misura è questo l’approccio che dovremmo adottare. Sempre andando avanti, perseguendo con determinazione i nostri obiettivi. Perché noi non ci rassegniamo certo al declino, come non ci rassegniamo a una società in cui le diseguaglianze crescono, la forbice dei redditi si allarga, l’area della vecchia e nuova povertà si estende, la qualità della vita per le famiglie si deteriora.
Sappiamo già però che non si torna a crescere senza investire mezzi ed energie intellettuali nella ricerca, nella innovazione e nella scuola.
Ricordo che a Lisbona l’Unione Europa aveva fissato un obbiettivo di spesa in ricerca e sviluppo pari al 3% per cento del Pil, per due terzi di origine privata. Oggi l’Italia è all’1,1%, tra gli ultimi posti in Europa e nell’Osce. Così non si va da nessuna parte. O meglio, si va solo indietro. Un impegno forte nelle politiche per la ricerca è prioritario, con interventi mirati su specifici programmi nelle aree di netta priorità, con il credito di imposta automatico sulle spese di ricerca, con il riconoscimento di agevolazioni per le assunzioni di ricercatori, con una politica attiva di trasferimento tecnologico.
E poi c’è la scuola. Investendo nella scuola noi investiamo sui giovani. Il futuro dell’Italia parte da qui: la società e le famiglie devono investire nella scuola, chiamandola a una maggiore responsabilità per combattere contro l’impoverimento culturale, l’analfabetismo di ritorno, il fallimento formativo, la dispersione scolastica.
La scuola è una macchina complessa che ha bisogno di un progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare l’efficacia della sua azione educativa. E’ chiaro che la riforma, attuata nella legislatura che si chiude, in alcuni dei suoi aspetti andrà radicalmente cambiata. Penso, per esempio, alla scelta troppo anticipata dei percorsi formativi dopo la scuola media, e penso alla liquidazione della formazione tecnico-professionale. Abbiamo invece bisogno di valorizzarla ed estenderla attraverso percorsi universitari brevi, corsi che diventino le scuole tecniche del XXI secolo. Con una particolare attenzione, a questo riguardo per il Mezzogiorno, che del ritorno alla crescita dell’Italia - che noi perseguiamo - dovrà costituire il motore, cogliendo la straordinaria opportunità che gli si offre, e che noi intendiamo cogliere, di divenire la piattaforma di raccordo tra Asia e Europa.
Di questa nostra priorità noi vogliamo che gli insegnanti si sentano protagonisti, protagonisti di un nuovo progetto culturale, perché noi ne sapremo valorizzare la professionalità e l’autorevolezza.
Non può esserci un processo di riforma e rilancio del sistema educativo se non c’è coinvolgimento degli insegnanti, che ne condividano progetti e percorsi. Non sono possibili riforme senza che i destinatari ne siano anche protagonisti. Non si fanno buone riforme nonostante gli insegnanti. Ridaremo a loro coraggio, motivazioni, la gioia di svolgere una funzione vitale e apprezzata come merita.
L’Italia ha di fronte una grande sfida: rimettere la conoscenza, il sapere al centro della politica, dell’economia, della società. La competitività economica del Paese richiede un grande salto in avanti in tutti i settori della ricerca e dell’innovazione tecnologica. Il sistema italiano della università e della ricerca mostra seri problemi e non riesce che in parte a corrispondere alla complessità delle sfide che la società gli pone. Investire in formazione e ricerca – in particolare nelle discipline scientifiche e tecnologiche – è l’unico modo per recuperare consistenti squilibri economici e sociali. Faremo delle università italiane un polo di attrazione per la formazione dei giovani e dei ricercatori. Vogliamo dare spazio ai giovani nell’università e nella ricerca perché l’Italia ha bisogno di giovani che insegnino e facciano ricerca con stabilità e libertà e vogliamo stimolare decisamente le lauree in discipline scientifico-tecnologiche anche in relazione al rilancio e alla creazione di distretti tecnologici collegati con le università, gli enti di ricerca e le realtà produttive del Paese.
Il fisco rappresenta un’altra area di intervento necessario. In questi anni la politica delle Destra, la politica dei condoni a raffica – hanno condonato persino le tangenti nella Pubblica Amministrazione, come ha stigmatizzato recentemente la Corte dei Conti – ha radicato l’idea che evadere l’obbligo fiscale sia la normalità. Noi intendiamo ripristinare anche in questo campo la cultura della legalità e della responsabilità civica. Ricordando, intanto, che la leva fiscale non è una rapina ai danni dei cittadini ma serve a conseguire gli obiettivi comuni della nostra società. Noi lanceremo una lotta feroce all’evasione fiscale, che in Italia sotto l’occhio indifferente del governo della Destra ha raggiunto livelli che non si riscontrano in nessun paese civile. Il livello è tale che anche solo il recupero di un terzo dell’evasione risolverebbe molti dei nostri problemi. Lotta feroce all’evasione, dunque, come condizione innanzi tutto di equità, ma anche di efficienza del sistema. L’Italia è anche il paese in cui viene riconosciuto un vantaggio fiscale alla rendita mentre viene penalizzato il reddito prodotto dall’impresa e dal lavoro. Questa è una perversione dei valori che devono animare una moderna società civile.
E allora, nel mentre come ho detto alleggeriamo sensibilmente il carico contributivo sul lavoro dipendente, agiremo per rendere uniforme il sistema di tassazione delle rendite finanziarie, escludendo però – va sottolineato con forza – i redditi prodotti dai piccoli patrimoni frutto del risparmio familiare.
E infine interverremo per un fisco amico delle famiglie. Riconoscendo il valore sociale della maternità e della paternità, vogliamo dotare ogni bambino di un reddito che aiuti la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età e che tenga presente le esigenze delle famiglie numerose. L’intervento per le famiglie deve essere ampio, e lo sarà.
Gli oneri a carico delle famiglie continuano a crescere. Crescono i costi della non-autosufficienza e dei figli, non solo dei minori. Basti dire che il 70 % dei giovani tra i 25 e i 29 anni vive con i genitori, nella sostanziale impossibilità di rendersi autonomi e di formare nuove famiglie.
Le difficoltà colpiscono ormai anche le famiglie con redditi medi, e divengono insostenibili per le famiglie monoparentali. Esercitare il diritto alla maternità significa per molte donne rinunciare a quello del lavoro. Non stupisce che il tasso di fertilità nel nostro Paese sia il più basso d’Europa, e che la denatalità sia divenuta un fenomeno allarmante, con il risultato che siamo anche il paese più vecchio.
Sulla famiglia il governo della Destra ha fatto molta retorica, ha speso molte parole. E mena scandalo per il nostro proposito di regolare in maniera civile le unioni di fatto. Ma il vero scandalo è l’assenza di una politica efficace e ad ampio raggio di sostegno alla famiglia, così come è definita dalla nostra Costituzione.
Il vero scandalo è che sta diventando un lusso sposarsi. Il vero scandalo è che siamo arrivati al punto in cui è più conveniente non sposarsi. Il vero scandalo è che, invece di una politica coerente e permanente, si adotta quella dei bonus una tantum, di cui vantarsi con relativa letterina elettorale spedita a carico del contribuente. Il vero scandalo è tenere in condizioni di precarietà lavorativa permanente i giovani, con l’effetto che le giovani coppie non solo devono differire nel tempo la loro unione, ma devono rinunciare al sogno di farsi una casa, salvo che non intervengano i genitori, perché il sistema bancario non concede mutui per la precarietà della loro condizione di lavoro.
Per noi questo, tutto questo, è uno scandalo intollerabile.
Noi sosteniamo il diritto di ogni persona a costruire il proprio percorso di vita, e il ruolo delle famiglie come il luogo di esercizio delle solidarietà intergenerazionali, della cura e degli affetti.
Non basta un fisco amico delle famiglie, noi dobbiamo realizzare una società amica delle famiglie.
Noi ci poniamo l’obbiettivo di raddoppiare nell’arco della prossima legislatura il numero degli asili nido e istituiremo un fondo di garanzia per i mutui alle giovani coppie.
E attueremo un programma di sviluppo dell’assistenza domiciliare integrata, facendo affluire in un Fondo nazionale per l’autosufficienza tutte le risorse già oggi impegnate nel settore, predisponendo un percorso di graduale incremento delle risorse pubbliche, ma facendo anche leva su cooperative e soggetti del terzo settore.
Noi, il governo di centrosinistra, investiamo sulla famiglia, investiamo sul suo futuro: perché noi investiamo sul futuro dell’Italia.
Metter su casa è diventato quasi impossibile per molti giovani e difficile è anche pagare affitti sempre più salati. Nonostante i tassi di interesse sui mutui si siano fortemente ridotti (e questo è uno dei meriti dell’euro) la vertiginosa crescita dei prezzi delle abitazioni (+40% negli ultimi quattro anni) ha reso inaccessibile l’acquisto della casa per molti. Gli affitti sono andati alle stelle con aumenti di oltre il 50% negli ultimi anni. Ci vogliono più case per l’affitto. Ci vuole una maggiore offerta pubblica e ci vuole un mercato che funzioni meglio. Hanno venduto pezzi consistenti di patrimonio abitativo pubblico ma hanno quasi azzerato la costruzione di nuovi alloggi. Dobbiamo investire di più in edilizia pubblica, non come hanno proposto loro con promesse che non possono mantenere e non aumentano di un solo vano la disponibilità edilizia. Vogliamo rendere più trasparente il mercato delle locazioni utilizzando la leva fiscale per scoraggiare il nero e per ridurre il carico fiscale sugli affitti. Vogliamo anche aiutare le giovani coppie ad acquistare la casa istituendo un fondo di garanzia pubblico per la concessione di mutui da parte del sistema bancario. Gran parte della profonda modificazione nella distribuzione dei redditi delle ricchezze (che ci consegna un crescente numero di famiglie in difficoltà) è legata ad un andamento abnorme dei prezzi. In particolare è il lavoro ad essere stato penalizzato mentre i prezzi dei beni non sottoposti ad una vera pressione concorrenziale sono saliti vertiginosamente. Colpa dell’Euro? O colpa di come abbiamo sorvegliato il passaggio da lira a euro? Sono solo mancati i controlli o piuttosto è stata una scelta politica deliberata per favorire pochi a danno di tanti? I prezzi hanno continuato a salire e continuano ben oltre la fase di passaggio da una moneta all’altra. Oggi abbassare il livello di alcuni prezzi è una priorità, ma è difficile come rimettere il dentifricio nel tubetto, anche perchè c’è chi il tubetto continua a stringerlo e le nostre famiglie vedono crescere le difficoltà. Agiremo su due livelli: maggiore potere di acquisto alle famiglie e servizi liberati dal peso e dalle incrostazioni dei monopoli e quindi meno cari.
Queste che ho esposto sono le colonne portanti di un programma dalla parte dei cittadini, il programma di un governo dalla parte dei cittadini.
Le colonne portanti, non evidentemente l’intero edificio. La lettura anche solo dei titoli dei capitoli in cui si articola il nostro progetto elaborato “per il bene dell’Italia” dà la percezione della ampiezza degli interventi che lo stato del Paese richiede. A questo, a tutto questo, settore per settore, ci dedicheremo con identica passione, con identica determinazione.
Agiremo in un mondo dove tante e purtroppo crescenti sono le ragioni di forte preoccupazione, e troppo spesso di serio allarme. Occorre un forte e rinnovato impegno nella lotta al terrorismo internazionale, che minaccia l’insieme delle società del mondo contemporaneo. Il fenomeno terrorista è mosso oggi, in primo luogo, da un pericoloso fondamentalismo, che agita la bandiera religiosa per coprire un disegno politico perverso, che con i valori religiosi autentici non ha nulla a che fare. Nei confronti dei metodi terroristici, condotti sia da organizzazioni sia da Stati, affermiamo la nostra ripulsa morale e politica. Siamo fermamente convinti che la lotta al terrorismo vada condotta con strumenti politici, di intelligence e di contrasto delle organizzazioni terroristiche.
E’ in primo luogo sul piano politico, sociale ed economico che dobbiamo battere il disegno del terrorismo, prosciugando il serbatoio degli adepti.
Nella politica globale per la lotta al terrorismo noi saremo partecipi convinti, con i nostri valori e le nostre risorse, anche risorse militari ogni qual volta che esse siano legittimamente mobilitate dalle organizzazioni internazionali cui apparteniamo.
In ogni evenienza risponderemo con prudenza, con equilibrio, e quando necessario con fermezza.
Guidati da scelte precise nella nostra politica estera. Scegliamo l’Europa e il processo di integrazione europea come ambito essenziale della politica italiana. Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo italiano e l’articolo 11 della Costituzione al centro delle decisioni in materia di sicurezza. Scegliamo il multilateralismo, inteso come condivisione delle decisioni e costruzione di regole comuni. Scegliamo una politica preventiva di pace che persegua attivamente l’obbiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale, favorendo la prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei bacini dell’odio. Scegliamo la legalità internazionale come chiave per affrontare i conflitti e per la costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto. Scegliamo di mettere al centro dell’azione dell’Italia la promozione della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne.
E’ per questi valori e questa visione del mondo che, così come in alcuni casi abbiamo ritenuta legittima e doverosa la partecipazione militare dell’Italia a importanti missioni di pace, delle quali andiamo orgogliosi, non abbiamo invece condiviso la guerra in Iraq e la partecipazione italiana. Consideriamo la guerra in Iraq e l’occupazione un grave errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato il problema della sicurezza. Il terrorismo ha trovato in Iraq una nuova base e nuovi pretesti per azioni terroristiche interne ed esterne ai confini iracheni. Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnici necessari, definendone anche in consultazione con le autorità irachene le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite. L’impegno italiano in Iraq non cesserà ma assumerà forme radicalmente diverse, prevedendo azioni concrete per sostenere la transazione democratica e la ricostruzione.
Abbiamo, per il resto, ben ferme due stelle polari.
La prima è l’Europa, come ho appena accennato. Non potremo ridare dignità e forza al Paese se non lo riporteremo saldamente al centro dell’Europa. Se non faremo della nostra appartenenza all’Europa la nostra forza e la nostra bandiera. Se non lavoreremo con tenacia per fare dell’Europa un soggetto forte e unito nello scenario internazionale. Mai più dovremo avere posizioni differenti su una questione come l’intervento in Iraq. Mai più dovremo permettere che si divida l’Europa in una Europa amica degli Americani e una un po’ meno amica. L’Europa dovrà prima di tutto essere filoeuropea e solo allora sarà un alleato serio, leale e affidabile degli Stati Uniti.
Il governo della Destra non ha capito che nella sua politica internazionale l’Italia conta solo se conta in Europa. E noi lavoreremo per ricollocare l’Italia tra i paesi guida dell’Europa.
L’altra stella polare è la Costituzione repubblicana. In ogni democrazia le istituzioni sono lo strumento fondamentale per garantire i principali valori costituzionali: libertà, partecipazione, pluralismo, equilibrio dei poteri. Il governo della Destra ha applicato alle istituzioni una logica proprietaria. Come sappiamo bene, proprio in scadenza di legislatura ha inflitto due gravi colpi al sistema costituzionale, cambiando la legge elettorale e riformando radicalmente la Costituzione. Sono, entrambi, progetti elaborati senza alcun coinvolgimento dell’opposizione, ma anzi contro di essa.
La costituzione e le istituzioni sono diventate merce di scambio, usate per tenere insieme una coalizione politica ormai priva di ogni collante ideale e progetto politico. Gli echi della nostra battaglia sono troppo freschi per richiedere qui ulteriori puntualizzazioni. I cittadini italiani avranno modo il 9 aprile di dire cosa pensano dell’operato del governo della Destra anche su questo terreno, e di bocciare nel successivo referendum una riforma costituzionale che lacera il Paese. Mi limito qui a riaffermare due principi basilari che dovrebbero essere ovvi, che per noi sono ovvi perché fanno parte del Dna originario di ogni democrazia. Primo, le istituzioni sono di tutti; secondo, la Costituzione si cambia solo insieme.
Ecco, questo è in sintesi il programma con cui la coalizione di centrosinistra va alla prova delle elezioni, parte del più vasto progetto di governo “per il bene dell’Italia”. Con un messaggio, malgrado tutto, di sobrio ottimismo: si, possiamo farcela, l’Italia può farcela.
Su questo, noi chiediamo il voto.
Chiediamo un voto che mandi all’opposizione chi dalle elezioni precedenti ha avuto il potere e lo ha usato male, che mandi a casa chi ha fallito e ha fatto del male all’Italia.
A chi ha già votato per noi nelle precedenti elezioni politiche, ai tanti che ci hanno dato la vittoria in tutte le elezioni di questa legislatura, io dico anche a nome di tutti voi: dateci la vostra fiducia, perché senza di voi niente è possibile.
A chi ci ha negato finora il suo voto, io dico: è ora di voltar pagina.
E a tutti dico: per il bene dell’Italia non vi deluderemo. Questo è l’impegno di tutti noi. Il nostro è un sogno e un progetto. E’ il sogno di un mondo più libero, più giusto e più unito. Che si traduce in un progetto che vogliamo, giorno dopo giorno, realizzare. Consapevoli della nostra storia, guardiamo al mondo con spirito aperto, con l’ambizione di esserne nuovamente protagonisti. Per l’Italia, questo è il tempo delle scelte.
Programma-unione
Pubblicato il 13/02/2006
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