L'impatto tecnologico sulle città metropolitane aumenta il divario Nord-Sud

Importante studio di Demetrio Naccari Carlizzi e Agata Quattrone sull’impatto tecnologico nelle città metropolitane: aumenta il divario tra Nord e Sud

Con l’avvento del nuovo millennio, le ICT (Information and Communications Technology, o in italiano “tecnologie dell’informazione e della comunicazione”) ricoprono un ruolo fondamentale in riferimento allo sviluppo sostenibile. “Negli ultimi dieci anni, diverse città metropolitane di tutto il mondo hanno iniziato a sviluppare la propria strategia intelligente, applicando l’innovazione ICT per la sostenibilità urbana, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei cittadini e ridurre l’impronta ambientale”. Lo si legge in uno studio approfondito effettuato da Demetrio Naccari Carlizzi e Agata Quattrone dal titolo “Città Metropolitane e trasformazione digitale: analisi delle politiche e metodologia di valutazione” e pubblicato sulla rivista LaborEst. Naccari e Quattrone, cittadini come noi di una delle città metropolitane d’Italia, Reggio Calabria, che come gran parte di esse non sfrutta a dovere le risorse di cui dispone. Anzi, come vedremo più avanti, l’impatto digitale aumenta ancor di più il divario tra Nord e Sud, ma alle città del Mezzogiorno verrebbero assicurate risorse economiche più ingenti per rimanere al passo. “Tuttavia – si legge – le città intelligenti sono un fenomeno ‘a macchia di leopardo’ e mostrano profili eterogenei. I benefici sono spesso dichiarati, ma non misurati, mentre definire le prestazioni della città è indispensabile per conseguire i migliori risultati per cittadini e stakeholders. Numerosi studi indagano sulla relazione tra città e innovazione, ma pochi si concentrano su un approccio metodologico per valutare l’effettiva generazione di valore pubblico prodotta dall’applicazione delle tecnologie digitali e della misurazione dell’attuazione dell’agenda digitale”.

Lo studio, nel dettaglio, si occupa di “approfondire il ruolo delle tecnologie digitali per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e analizzare quanto si sta facendo in Italia per operare il processo di trasformazione delle Città Metropolitane. Innanzitutto “la Città Metropolitana (CM) viene introdotta in Italia con la legge 56/2014 (Legge Delrio) con un impianto normativo a schema ‘aperto’ cui ogni Ente può contribuire fissando nello Statuto e nel Piano Strategico un quadro di obiettivi identitari e di sviluppo. Il risultato, ad oltre cinque anni dalla sua introduzione, è un modello ancora fluido ed incerto (sia nella governance che nella funzione) e perciò slegato da una reale capacità di gestire i temi dell’urbanizzazione e delineare nuovi modelli di servizio”. Ma è proprio la trasformazione digitale a poter offrire nuovi modelli di cooperazione e di servizio innovativi: “ICityRanksi legge nel documento – è la classifica delle Città italiane in ambito Smart City e Sostenibilità, dedicata alle 6 dimensioni in cui si può declinare la qualità urbana: 1. solidità economica; 2. mobilità sostenibile; 3. tutela ambientale; 4. qualità sociale; 5. capacità di governo; 6. trasformazione digitale. Dallo studio si evince che la trasformazione digitale è uno degli ambiti nei quali le disparità tra città si evidenziano maggiormente”.

italia città metropolitane 1

In tal senso “è significativa la presenza, sia nella Top 10 della solidità economica, sia in quella della trasformazione digitale, di tre città metropolitane del Nord (Bologna, Milano e Torino). Ciò suggerisce l’esistenza di una correlazione tra le dinamiche dell’innovazione del sistema produttivo e quelle delle istituzioni. La prima città del Mezzogiorno è Cagliari, che raggiunge una ragguardevole 13a posizione e si conferma un’eccezione. Risultati apprezzabili li ottengono però anche Palermo (24a) e Bari (25a), che si collocano fuori della top 20 solo per pochi punti; più staccata Napoli (35a) che è comunque ben collocata nella graduatoria. Fuori dalla top 50 Catania (52a), Reggio Calabria (68a) e Messina (93a). Sul fronte della trasformazione digitale, dunque, sembrano esistere, più che in altri ambiti, spazi per le iniziative delle singole amministrazioni che non siano solo riflessi del contesto, ma rappresentino, invece, diverse attitudini verso scelte innovative”.

italia città metropolitane

L’assist, dunque, per poter sfruttare le tecnologie digitali e ridurre i divari tra città, si scontra con l’effettiva capacità: “La dotazione di risorse per le città metropolitane per la trasformazione digitale – si legge – è invece limitata, e sull’efficacia delle misure a costruire un ecosistema abilitante pesa soprattutto la debolezza della strategia nazionale. Infatti, per governare il network dei sistemi territoriali metropolitani e assicurare la missione di motore dello sviluppo è in corso sostanzialmente solo il Programma Operativo Nazionale Città Metropolitane 2014-2020 (PON Metro) che rappresenta la parte più cospicua delle esigue risorse pubbliche, nazionali ed europee stanziate e dovrebbe essere sufficiente alla loro trasformazione in smart cities”.

“Il Programma di cui beneficiano le 14 Città Metropolitane (dotazione Totale: 892 MEuro: 90 MEuro circa per le città del sud e circa 40 MEuro per le città del CentroNord e Sardegna) è strutturato su due driver strategici:

  1. Smart City per il ridisegno e la modernizzazione dei servizi urbani (Asse prioritario I – Agenda Digitale
    metropolitana e Asse prioritario II – Sostenibilità dei servizi e della mobilità urbana);
  2. Innovazione sociale per l’inclusione dei segmenti di popolazione più fragile e per aree e quartieri disagiati (Asse prioritario III – Servizi per inclusione sociale; Asse prioritario IV – Infrastrutture per inclusione sociale).

La dotazione finanziaria totale per l’Asse I è di circa 152 milioni di euro di cui, in media, 7,95 milioni di euro per le otto città del Centro Nord e 14,73 milioni di euro per le sei città del Sud. Ciò ha comportato per le città del Mezzogiorno disponibilità di risorse superiori. Le CM dovrebbero prevedere nel loro ecosistema sia cambiamenti del modello amministrativo-organizzativo che piattaforme digitali abilitanti, per rappresentare il vero motore della quarta rivoluzione. Città più rapide e performanti nella risposta ai cittadini, che attuano una vera democrazia partecipativa, danno impulso alla cooperazione tra i privati, il mondo della ricerca e gli innovatori e promuovono la formazione di nuove competenze e in grado di accompagnare la trasformazione. Da un’analisi dei Piani Operativi del PON Metro 2014-20 si scorgono, invece, una serie di azioni municipali e territoriali, anche di qualità, ma slegate da una strategia complessiva del sistema Paese”.

“La figura (vedi sopra) mostra invece le tipologie di intervento proposte dalle 14 CM distinguendo le macro-categorie: Infrastrutture e Piattaforme, Integrazione con i Common Services, Servizi digitali per le 7 aree tematiche individuate dal Programma (assistenza e sostegno sociale; edilizia; cultura e tempo libero; lavoro e formazione; tributi locali; ambiente e territorio; lavori pubblici). Il costo dei progetti PON Metro per l’intero Asse I ammonta a circa 142 milioni di euro (a fronte di una spesa ad oggi inferiore al 30% della dotazione, circa 43 MEuro)”.

“Complice una non omogenea diffusione di competenze che possano guidare la trasformazione digitale, il rischio è quindi che le limitate risorse a disposizione vengano disperse in soluzioni senza una logica di sistema, frammentate, non interoperabili, non riutilizzabili, non risolutive. Si pone quindi un problema di coordinamento circa l’azione tecnica di supporto a livello centrale per l’attuazione dell’Agenda Digitale, al fine di delineare in maniera compiuta una strategia nazionale che ottimizzi la spesa. L’investimento tecnologico infatti può rivelarsi inefficace se il contesto non sviluppa la capacità di avvalersene. In tal senso, accanto al Pon Metro e ad interventi di infrastrutturazione digitale (fibra ottica, 5G, IoT), sono necessari programmi di formazione e diffusione dell’uso delle tecnologie per tutti i target di utenza, con particolare riguardo alle categorie più fragili. Non è ancora troppo tardi per realizzare un assessment dello stato di attuazione dell’Agenda Digitale nelle città, per eventualmente ricalibrare gli interventi e/o inquadrarli in un framework omogeneo e condiviso, che punti ad uno sviluppo equo e sostenibile”.

Sulla base di queste riflessioni, dunque, cosa serve ad una P.A. (Pubblica Amministrazione) per essere digitale? “Non esiste una ricetta univoca, ma le esperienze maturate messe a fattor comune possono fornire una traccia. Un set di indicatori specifici per una diagnosi del livello di informatizzazione e di maturità dell’Agenda Digitale di una PAL, organizzato per layer così distinti:

  1. Governance per indagare policy, strategia, struttura, organizzazione e risorse per la gestione dell’innovazione e il monitoraggio degli impatti;
  2. Openess per misurare il livello di trasparenza, apertura e comunicazione del funzionamento della macchina politico-amministrativa;
  3. Cooperazione per conoscere la condizione di adesione a iniziative nazionali, common services e disposizioni normative;
  4. Piattaforme e Servizi per fotografare il grado di digitalizzazione di processi, procedimenti, servizi e applicazioni;
  5. Infrastrutture e Reti per stimare il livello di modernità, robustezza e capacità di infrastrutture e reti tecnologiche in dotazione;
  6. Competenze per valutare l’adeguatezza delle competenze digitali e non accompagnare e sostenere la trasformazione della PA.

In sostanza, per reinventare il governo in senso digitale non sono sufficienti azioni territoriali e comunali, ma servono interventi nazionali, legislativi e amministrativi tramite le agenzie (Agid, Team digitale), che uniti a scelte orizzontali di metodo e coordinamento possano condividere e definire una strategia multilevel, accresciuta in termini di maggiore conoscenza e capacità di modulazione e misurazione”.

 

 

Articolo precedenteArticolo successivo

Non ci sono commenti