Il movimento Occupy wall street e gli studenti italiani

Non è una protesta anarchica o ideologica è il segno drammatico di una esigenza sociale

Il movimento “Occupy wall street” e gli studenti italiani che vogliono “svegliare” il Governo e lanciano uova e vernice contro Moody’s rappresentano un unico messaggio per la politica mondiale e per i governi nazionali.

Steelworkers (trad. operai) e insegnanti, medici e  associazioni di lavoratori di diversi settori, dopo l’incipit dei giovani a New York, hanno promosso in tutti gli Stati Uniti una protesta contro una finanza che divaricandosi sempre più dall’economia reale ha divorato e svuotato i diritti sociali di un Paese che ha già di per sé un’impostazione marcatamente mercatista e liberista.

Studenti e giovani italiani, vittime di una disoccupazione giovanile impensabile e prospettive di crescita oggi ai minimi storici, danno un segnale di presenza e di rappresentanza ad una politica che per decenni ha pensato al passato più che al futuro. Non è una protesta anarchica o ideologica è il segno drammatico di una esigenza sociale e demografica, segnalano l’esigenza di rappresentanza delle ultime  generazioni che contano molto meno degli speculatori nelle borse.

I governi sinora hanno pensato a difendere il sistema finanziario dove si annidano fra i principali responsabili sia della crisi finanziaria del 2007 (Bolla immobiliare USA) che di quella attuale. I salvataggi delle banche, che hanno certamente un senso e una logica macroeconomica e di sistema,  devono essere accompagnati da precise condizioni e da una riforma del sistema delle regole tale da impedire alla finanza di prendere i soldi dei contribuenti e scappare al prossimo appuntamento con i propri profitti sconfinati e la propria illimitata irresponsabilità sociale.

Certo, i diritti vanno riscritti, la società è diversa e serve un nuovo welfare, la crisi dei debiti sovrani impone dure scelte di bilancio e di rigore ma perché pagare anche le pazzie di Wall Street e Piazza Affari e perché devono pagarle soltanto le ultime e le future generazioni che non hanno colpe o responsabilità nella creazione dell’attuale insostenibile debito pubblico?

Il nostro mondo prevedeva che lo Stato garantisse l’istruzione, le cure mediche, l’assistenza,la pensione e il lavoro. Tutto questo si chiamava Stato Sociale. Nato all’insegna di una crescita economica continua, mantenuto con il deficit di bilancio e non riformato per adeguarlo alle nuove esigenze, questo sistema è oggi in piena crisi strutturale.    
 
I nuovi bisogni, un nuovo concetto di equità impongono una revisione della spesa pubblica mentre la politica non è stata sinora in grado di proporre un modello adeguato e idee adeguate, limitandosi a mentire producendo nuovo debito e mantenendo un sistema di regolazione dell’economia finanziaria, arcaico e non equo.

Oltretutto abbiamo assistito storicamente ad un non senso. Le fasi di crescita economica del passato hanno portato ad una redistribuzione che decomprime la distanza tra i redditi e ciò ha comportato profitti inimmaginabili per pochissimi e l’impoverimento dei redditi medi e un pericoloso aumento dell’area della povertà e quasi povertà.  Al contrario, le fasi di crisi e depressione sono state affrontate socializzando i sacrifici senza proporzione. Il risultato è che nelle fasi di crescita i profitti sono per pochi e in quelle di depressione tutti pagano per salvare il sistema, le banche, le grandi imprese etc. .

Non sarà un caso che personaggi del calibro di Robert Reich evidenzino che sia la Grande Depressione che l’attuale recessione hanno la loro radice negli eccessi finanziari e nella crescente diseguaglianza nella distribuzione del reddito hanno generato.   

Non è nemmeno casuale che il governatore Draghi sottolinei un precetto di logica: senza una maggiore cittadinanza sociale e politica delle giovani generazioni non ci può essere crescita per definizione.

A queste nuove generazioni che giustamente protestano,invece, non vengono riconosciuti diritti ma gli vengono addossati i costi delle scelte a beneficio delle generazioni precedenti. Una beffa e una frode giuridica oltre che economica.

Alle future generazioni il diritto, in una continuità dottrinale da interrompere dove diritto ed economia non comunicano, non riconosce diritti ma collega solo generiche situazioni giuridiche in capo alle generazioni presenti. Tanto indirette e generiche da non avere di fatto efficacia e tutela reale allo stato della legislazione nazionale.

Oggi finalmente si parla di costituzionalizzare il pareggio di bilancio (dopo la fuga dei buoi!!!) più per l’esigenza di dare il segnale di un rigore finanziario che manca che per garantire l’equità intergenerazionale che deriverebbe dall’obbligo di non scaricare sui giovani il surplus di debito su cui si fonda la frode dei padri verso i figli.

Serve invece, anche e soprattutto, una riforma del welfare equa, occorre non bruciare risorse sottotassando le speculazioni finanziarie e i giochi di borsa e sopratassando l’economia reale con il risultato di avere bassa crescita e compressione della spesa sociale.

Non si capirebbe altrimenti perché i quarantenni di oggi non potranno avere la pensione (tacendo di molti di loro come parte di una generazione esclusa dal lavoro) per consentire invece colossali guadagni con hedge found, credit default swap, stock option e in generale meccanismi senza regole o morale sociale.
Non sarà un caso che gli studenti italiani individuino nelle agenzie di rating un simbolo di una distorsione del sistema (inefficiente, ingiusto e falso) e nella politica una debolezza insostenibile: l’avarizia verso il futuro (istruzione, investimenti in conto capitale, opportunità di lavoro) e l’incapacità di regolare un settore come quello finanziario che mette in crisi l’intero sistema sociale in cui viviamo.

A queste domande e ad una idea della giustizia sociale intergenerazionale dovrà rispondere una nuova politica al servizio del Paese.
A quando un dibattito, magari bipartisan, in Calabria sulle politiche pubbliche per le nuove generazioni, ospitato da Il Quotidiano che è quotidianamente da forte stimolo sull’argomento?

Demetrio Naccari Carlizzi (Dipartimento Economico PD)

 

 

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