Il mestiere di cronisti

senza Avetrane nell'armadio

di Matteo Cosenza - il Quotidiano

Dopo aver ignorato la notizia i giornali nazionali scoprono che a Reggio Calabria è accaduto un fatto degno di menzione. Parliamo del Corriere della Sera che cala qui, in questo Sud disprezzato e vituperato, e impartisce una salutare lezione di giornalismo.

Perché nel raccontare ad una settimana di distanza il tragico gesto di Orsola Fallara, suicidatasi (sic!) in una maniera terribile che induce a pena e pietà, sottende, utilizzando i segreti del mestiere, che i giornali calabresi avrebbero massacrato la povera donna e si sarebbero esibiti in una pessima prova professionale. Trovandosi in buona compagnia con il governatore Scopelliti che parla continuamente e genericamente di «gogna mediatica».

Intanto, i giornali calabresi? Prima regola del giornalismo: indicare chi con nomi e cognomi (ma questo vale anche per Scopelliti). Forse quelli del Corriere hanno scambiato la storia di Avetrana con quella della Fallara, perché i media nazionali, non solo quelli televisivi ma anche molti in carta stampata e compresi quelli che una volta davano davvero lezioni di giornalismo, hanno calpestato le buone regole del mestiere scrivendo pagine di cui ci si dovrà vergognare a futura memoria.

A Reggio nel caso della Fallara le cose non sono andate così, almeno fino a quando non se n'è occupatala stampa nazionale, e speriamo che da ieri non inizi anche qui il solito copione dell'informazione mordi e fuggi, devasta e poi te ne freghi, dagli addosso tanto non si paga pegno.

Uno sport che quelli del Nord praticano spesso quando, con tecnica colonialistica, calano in questa terra. E purtroppo al colonialismo di fuori fa da contraltare il provincialismo di dentro, quello di noi meridionali che quasi godiamo nel sentirci inferiori o ci mettiamo a suonare - ricordate Massimo Troisi?-il mandolino come loro del Nord vogliono.

In queste settimane in Calabria finora sono stati raccontati fatti, correttamente, si è fatta cronaca (conoscete la parola, colleghi del Corriere) rigorosamente. La vicenda era rilevan te di per sé perché riguardava il funzionario più importante del Comune di Reggio. Dispiace che una persona che ha commesso degli errori non abbia retto alla tensione psicologica e abbia deciso di farla finita drammaticamente.

E sappiamo bene che il suo errore - ma qualsiasi altro - mai poteva essere punito con la condanna a morte in un paese che non la contempla e che sovente è molto generoso anche con persone che si macchiano dei crìmini orrendi.

La polemica politica è stata aspra? Sicuramente lo è stata ma, vista la materia e i personaggi in campo, poteva essere altrimenti? Prendiamo l'esponente del Pd Demetrio Naccari che ha sollevato il caso e che sì vorrebbe mettere sul banco dei responsabili del suicidio. Che cosa ha fatto di così grave se non il suo mestiere di denunciare una grave irregolarità amministrativa nel comportamento di un funzionario che perfino l'ex sindaco e attuale governatore della Calabria Scopelliti, per altro suo amico di infanzia, ha dovu to rimarcare? Poi si accusa l'attuale sindaco facente finizione Ruffa di aver fatt onon si sa bene che cosa.

E un sindaco per quanto facente funzionenon ha il dovere di approfondire e conoscere? Poi se qualcuno ha agito con altri scopi si vedrà e si avrà modo di esprimere giudizi, ma per ora parliamo di persone che hanno agito ognuna, nell'ambito delle proprie prerogative politiche e istituzionali.

Sullo sfondo c'è il tema del dissesto del bilancio del Comune di Reggio, certo per l'opposizione, inesistente per chi haamministrato la città in questi anni. Ma è una grande questione sulla quale è inevitabile che si sviluppi la battaglia politica, auguriamoci senza colpi bassi enell 'interesse della cosa pubblica.

E i giornali che cosa dovrebbero fare? Ignorare, tacere, non resocontare le conferenze stampa e quant'altro? Ma non scherziamo. Proprio ieri Beppe Grillo, che non ci piace sempre, ha ricordato che nei giornali nazionali ormai le notizie non ci sono più, si trovano in colonnine di poche righe alla ventesima pagina e che le pagine sono infarcite di gossip che non dura neanche il tempo di incartare il pesce come una volta si ironizzava a proposìto del nostro mestiere.

Qui, egregi colleghi del Corriere, non ci siamo inventati nessuna Avetrana, non si è fatto spettacolo del dolore altrui, qui si è fatta cronaca.

Non so se ci sono stati errori o qualche aggettivo di troppo, ma anche se fosse capitato si tratterebbe di un errore non voluto. Del resto, almeno per quello che ci riguarda, vale la testimonianza di Orsola Fallara, che nella conferenza stampa di poche ore prima della morte ha pubblicamente dato atto della correttezza con la quale i giornalisti del Quotidiano hanno seguito la vicenda, e poco dopo, alle 21,30, ha fatto probabilmente la sua ultima telefonata proprio al nostro giornale che l'ha pubblicata il giorno dopo.

Rispetto e dolore per il suo gesto, nessuno sa che cosa si mette in moto nella testa delle persone quando si trovano in determinate situazioni. Ma il nostro mestiere ha una regola aurea: raccontare i fatti e non disegnare scenari suggestivi per darsi un po' di aria e attirare l'attenzione dei lettori.

Si insinua che non sia stato un suicidio. E che cosa sarebbe? Una, messinscena? Qualcuno l'avrebbe costretta a bere acido muriatico e leì avrebbe bevuto senza reagire? Per favore, siamo seri. E poi si aggiunge, dopo la prima goccia è difficile che uno possa continuare a ingoiare acido muriatico. E si dimentica che tante donne si sono suicidate in questo modo. Semmai è l'uomo, che ha un rapporto più difficile con il dolore, a scegliere metodi più sbrìgativi come il colpo di pistola, l'impiccagione o il buttarsi giù da un ponte.

Se ci sono punti da chiarire ci auguriamo che ciò avvenga rapìdamente, ma non corriamo con la fantasia. Facciamo il nostro mestiere di cronisti, e la cronaca è il racconto della nostra vita in tuttii suoi aspetti, anche quelli più duri e tragici. Se la cronaca non è piacevole non è colpa di chi la racconta ma di chi la fa. I giornali sono natiper raccontare i fatti della vita e quelli calabresi - speriamo che non sia un plurale maiestatìs - fanno questo e non hanoo Avetrane nel loro armadio. E non aspettano che calino i signori del Nord a raccontarci comesi fa.

 

 

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