Il ritratto di una regione dolente

La Casta Calabra, fra sprechi e ironia non voluta


Il ritratto di una regione dolente nel libro-verità del direttore del “Corriere della Calabria” Pollichieni su abusi ed eccessi della classe politica

Reggio Calabria - “Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente”, così scriveva Dante sulla Porta di accesso alle plaghe infernali, ed è così che appare la Calabria nel libro dedicatole dal direttore del Corriere della Calabria, Paolo Pollichieni e dai suoi ragazzi (Eugenio Furia, Giampaolo Latella, Pablo Petrasso e Antonio Ricchio), Casta Calabra, presentato presso il palazzo provinciale.

Una regione dolente, più che città, ma a differenza dei gironi danteschi, tale da non poter esser abbandonata da coloro che vi si trovano ad abitarla, cosicché entrandovi è meglio “lasciare ogni speranza”. Un libro in cui ci sono tutti ma proprio tutti i politici regionali, dalla presunta destra alla presunta sinistra, passando per il supposto centro.

Una casta fermamente asserragliata ai suoi privilegi, a tal punto che all’atto di dover operare dei tagli, fa un bel gioco delle tre carte e si garantisce comunque un proficuo vitalizio, che fa fiorire consorzi fondazioni ed enti sub-regionali come fossero funghi dopo una giornata di intensa pioggia. Trasformista e trasversale, come la definisce Demetrio Naccari Carlizzi, dirigente nazionale del Partito democratico, i cui componenti sono capaci di traghettare dall’uno all’altro simbolo con estrema nonchalance, ma anche sfrontata, cosicché può tranquillamente far la morale dopo aver creato i problemi, e dotata di florida fantasia, nell’auto-attribuirsi opere realizzate da altri, nei miracoli vari cui millanta di aver dato luogo, proiettando una realtà che non esiste o facendone dare la più opportuna, per lei, chiave di lettura.

Riflesso in chiave regionale di uno status quo paragonabile alla recente tragedia della Costa Concordia, come la qualifica l’assessore provinciale alla cultura, Eduardo Lamberti-Castronuovo, laddove chi guida il timone non vi si trova per meriti ma per familismo, giacché “certi errori altrimenti non si capirebbero”.

Informazioni edulcorate in virtù di un giornalismo da spot, mancanza di controllo da parte delle dirigenze nazionali dei partiti, ma anche atteggiamento rinunciatario da parte di chi la casta la elegge, per ottenerne favori e, ventilati o effettivi, lavori, o anche solo per semplice accidia.

Un libro che narra la politica dinastica dell’oggi, che si ricicla e si tramanda di padre in figlio come un titolo nobiliare, mette nero su bianco quel familismo amorale per cui il bene da perseguire è solo il nostro e non quello pubblico, che viaggia fra “modelli” e sprechi, poco gradito, ma privo, a tutt’oggi di denunce, e giunto già alla sua terza edizione nonostante l’editto bulgaro cadutovi sopra.

Un libro per conoscere, dando cifre e nomi ai tanti omissis, ma anche per far riflettere, per far capire che “la politica non lascia vuoti”, “chiudersi in casa rifuggendola fa solo sì che altri ne occupino gli scranni”, come sottolinea Pollichieni. Come cantava De Andrè “dire che sono tutti uguali è solo un modo per non farti uscire di casa la sera”. Ed allora l’appello ai calabresi è a “svegliarsi”, a prendere ad esempio la buona politica che pure la nostra terra ha prodotto, come quei quattro a cui il libro è per l’appunto dedicato, perché in fondo nella “casta” Calabria, come recita il sottotitolo, far politica è pur sempre meglio che lavorare; sì, ma non per tutti.

Annamaria Mazzacuva

Rtv 22 gennaio 2012

 

 

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