Mammasantissima/7

Il “sindaco” di Reggio Calabria Pasquale Condello e il «cane da mandria» Peppe Scopelliti

Tratto da [Il Sole 24 ore]

Cari e amati lettori di questo umile e umido blog, dalla scorsa settimana scrivo dell’indagine Mammasantissima della Procura di Reggio Calabria (ma molto ne ho già scritto sul Sole-24 Ore). Per questo rimando ai link a fondo pagina.

Oggi cambio ancora registro e ritorno al fosco quadro che la Procura dipinge sulla cappa che da sempre offusca Reggio e la Calabria.

Debbo essere sincero: ora comincia ad essere un po’ più chiara anche la sceneggiata del “supremo” Pasquale Condello che il 13 aprile 2016, nel corso del processo di appello della cosiddetta indagine Meta – quella per intenderci, con la quale la Procura di Reggio Calabria cercò anni fa, contro l’ostilità dei sistemi criminali integrati, di dare scacco alla mafia rurale e violenta ma ancor più a quella raffinatissima che si cela all’ombra di logge deviate sempre più frequentate e può essere dunque considerata la “madre” dell’indagine Mammasantissima – mister Condello si presentò all’udienza con un abbigliamento “pre” ed uno “post” messaggio visivo.

Il “pre” – stoppato dalla polizia penitenziaria – era fatto di abiti stracciati e lisi e un sacchetto di spazzatura in mano.

Il “post” di abiti pinti e lindi (si veda http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/04/14/dopo-il-messaggio-di-riina-sale-alla-ribalta-pasquale-condello-in-videoconferenza-sporco-e-con-la-spazzatura-in-mano/).

Ebbene nell’interrogatorio reso dal pentito della cosca De Stefano, Antonino Fiume, il 6 dicembre 2011, emerge che «l’unica volta che c’è stata una riunione della ‘ndrangheta è stato quando molti voti sono stati spostati a sinistra nel periodo di Falcomatà» e vi fu «l’unione vera e propria», tanto che, in una circostanza, «Giuseppe De Stefano» gli chiese «chi è il sindaco a Reggio» e, a Fiume, che rispose Falcomatà, De Stefano ribatteva che «non si chiama Falcomatà» ma «Pasquale Condello» perché «sono la stessa cosa».

C’è da capirlo il “povero” Condello! Uno che viene investito nientepopodimenoche dai De Stefano del ruolo di sindaco occulto ma al tempo stesso, per la ‘ndrangheta, reale della città sullo Stretto, volete che non gli girino un tantino gli zebedei per essersi ridotto così? A pagare solo lui tra i grandi boss di ‘ndrangheta mentre fuori continuavano a gonfiarsi la panza quelli che erano rimasti sulla piazza? Suvvia, c’è da capirlo: dalle stelle (essere considerato il “supremo”) alle stalle.

E a proposito di stalle, da pagina 973 il Gip Santoro ritorna sul centro di potere incarnato da Paolo Romeo – già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e adorato, a maggior ragione, dai salotti marci reggini – nell’agone elettorale, sin dal momento iniziale della competizione: ovvero l’individuazione delle liste da presentare a sostegno del candidato da essi prescelto e, quindi, dal momento successivo, la scelta degli uomini da inserirvi.

Il periodo è quello delle elezioni amministrative a Reggio Calabria del 2002 e si comprende facilmente, scrive il Gip recependo l’impostazione della Dda, che, pur avendo individuato in Demetrio Naccari Carlizzi la figura migliore nel panorama politico contingente, rispetto a quella di Giuseppe Scopelliti, la scelta di Romeo, er mejo furbone del Colosseo, cade su quest’ultimo.

Scopelliti, ricostruisce testualmente la Procura e sottoscrive altrettanto testualmente il Gip, secondo il progetto, infatti, doveva fungere da «cane da mandria, a guardia del quale (si perdoni l’immagine antitetica) dovevano essere posti un congruo numero di consiglieri comunali, ovviamente individuati dal Romeo e dai sodali, pronti a far comprendere come egli dovesse adeguarsi alle loro indicazioni, mediante una politica di opposizione dall’interno della maggioranza sulle questioni di carattere generale.

Insomma, come si legge dai dialoghi captati, un disegno che passava dall’individuazione delle liste da presentare e degli uomini da candidare (o da candidare e sacrificare), per giungere al controllo della situazione politica.

In tutto questo, uomo di punta diviene, accanto ad Alberto Sarra, Antonio Stefano Caridi (entrambi indagati per associazione mafiosa nell’indagine, ndr) ./p>

Chiarissime sono le conversazioni in cui è Romeo che illustra al Caridi come la sua carriera politica dipendesse dal ruolo istituzionale che lo stesso Romeo aveva in mente per lui, di trasformazione».

Ora mi fermo ma la prossima settimana continuo.

r.galullo@ilsole24ore.com

7 – to be continued

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