Ora MoDem fa sul serio

Intervento dell'onorevole Paolo Gentiloni

Quando settantacinque parlamentari firmarono il documento da cui è nata l'iniziativa di MoDem, ci fu rovescita addosso la peggiore delle accuse: avete fatto un regalo a Berlusconi, si disse. Ora, un anno dopo, possiamo dire a testa alta che se mai il regalo lo abbiamo fatto al Pd, tenendo aperto il confronto al di fuori di unanimismi di facciata. Siamo infatti immersi in una vicenda che non farà sconti: o si esce dal periodo più buio della repubblica ricostruendo il paese, oppme si viene tutti coinvolti nel disastro.

Non basterà dire: è tutta colpa di Berlusconi. Del resto noi siamo già coinvolti nell'accusa di impotenza rivolta nelle società democratiche avanzate a una politica che combatte a mani nude nell'arena della globalizzazione. Governi e partiti, costretti nella loro dimensione nazionale, non riescono a regolare la dimensione globale dell'economia e delle sue crisi.

E nello stesso tempo governi e partiti sono sfidati dalle reti civiche e dagli stessi singoli individui ai quali Internet fornisce per la prima volta uno
straordinario potere di "autocomunicazione di massa". Per essere all'altezza della situazione servono idee chiare e scelte coraggiose. Rimando alle cose che dicemmo in gennaio al Lingotto, sia sul risanamento dei conti pubblici che sullo sviluppo dell'economia.

In quell'occasione avanzammo proposte per l'abbattimento del debito che sul momento fecero scandalo e che oggi, penso alla patrimoniale, sono diventate quasi alla moda. E dicemmo forte e chiaro che l'obiettivo del pareggio di bilancio e dell'abbattimento del debito non è un'oscura manovra dell'odiata Bce ma un terreno obbligato per qualsiasi strategia riformista. Servono scelte coraggiose per il possibile sviluppo dell' Italia nell'era della globalizzazione, uno sviluppo capace di rivalutare qualità e sobrietà e di non affidarsi alla semplice, e inevitabilmente modesta, crescita quantitativa.La scelta dell'Europa e di un necessario passo avanti del suo disegno federalista.

La scelta della riforma del welfare e del mercato unico del lavoro contro il crescente divario sociale che penalizza i giovani, i precari, i più deboli. La scelta di uno sviluppo compatibile incentrato sulla green economy, sull'economia digitale, su conoscenza e ricerca. Queste nostre ragioni si sono rafforzate nel paese, ma ancora
faticano ad affermarsi pienamente nel Pd. Noi continuiamo ad oscillare tra chi fa proprio questo punto di vista, penso ad esempio alle posizioni di Enrico Letta, e le sbandate tipiche di chi ha gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore.

Per chi guarda all'indietro, la crisi non è il frutto di una gigantesca scossa di assestamento della globalizzazione, all'origine è più semplicemente un disegno consapevole del capitale, e del suo braccio democratico in Europa, la Bce. Solo sconfiggendo questo disegno, e lasciandosi alle spalle le sbandate liberali della sinistra (e dell'Ulivo?) anni Novanta, sarebbe possibile rilanciare crescita e redistribuzione del reddito.

Io dico che questa visione, che pure ha radici forti nel passato della sinistra, oggi non ci porta da nessuna parte. So che risuona, almeno in parte, con alcuni slogan delle varie piazze di indignados. A queste piazze noi guardiamo con attenzione e simpatia perché è comunque un bene quando l'angoscia si trasforma in indignazione. Ma diciamo anche che non è saggio arruolarle in uno schieramento politico.

Occupy Wall Street non si mobilita contro i Tea Party, ma contro i Republicrats, ossia contro Repubblicani e Democratici allo stesso modo. Come rispondiamo all'angoscia che dilaga e all'indignazione che finalmente emerge? Con il coraggio delle riforme e non certo con la difesa dello status quo. A una giovane precaria meridionale, una dei nove milioni di lavoratori irregolari con poco futuro cosa rispondiamo? Che deve scendere in piazzacontro Tarticolo 8? Gli chiediamo di battersi per non alzare l'età pensionabile?

Oppure per una riforma radicale del welfare? E cosa diciamo a quei giovani che difendono con le unghie e con i denti una start-up di impresa? Li chiamiamo alla lotta in difesa del contratto nazionale, o addirittura contro l'accordo del 28 giugno? Oppure gli proponiamo meno burocrazia, più venture capital? Insomma dobbiamo avere il coraggio di dire basta a risposte facili, che magari provengono dalle nostre biografie, ma che sono sempre più illusorie o apertamente ingannevoli.

È un'illusione cercare di conservare, e di estendere alla società contemporanea, un sistema di tutele incentrato su capifamiglia maschi impiegati in imprese medio-grandi, rischiamo di non accorgerci di realtà come quella spaventosa affiorata a Barletta. Realtà a zero diritti. Apartheid in casa nostra, come denuncia Pietro Ichino. Abbiamo bisogno di altrettanta chiarezza nella nostra proposta politica. Da mesi diciamo: siamo in emergenza, serve un governo di emergenza. Serve ora, nei prossimi giorni.

La calma dei mercati è solo apparente. E comunque non possiamo permetterei altri sei lunghi mesi di Berlusconi, con la sua agenda imposta al parlamento, con l'ennesimo condono, con un premier che non ha mai trovato il tempo di andare in India ma va spesso e volentieri alle feste private del suo amico Putin. Serve un governo con un'ampia base parlamentare per fronteggiare l'emergenza economica e cambiare la legge elettorale. Il Pd deve dirlo forte e chiaro - lo ha fatto in questi giorni Dario Franceschini, gliene diamo atto -e deve battersi per allargare le incrinature evidenti nel Pdl.

Se ci limitiamo a non escluderlo, a considerarlo una extrema ratio, non favoriremo questa soluzione e, se e quando si verificherà, finiremo per essere coinvolti solo come portatori d'acqua. Tra l'altro, battersi per questa soluzione d'emergenza nel superiore interesse del paese è anche il modo migliore per posizionarci in vista di eventuali elezioni, se ad esse si dovesse arrivare nella prossima primavera.

Confesso di non augurarmelo. Considero infatti un vero azzardo reclamare un voto immediato con la certezza di andarci con l'attuale legge elettorale dopo che 1,2 milioni di cittadini ci hanno detto che non sono disponibili ad andare a votare per la terza volta col Porcellum. E l'azzardo riguarda anche la coalizione. Non basta la foto di Vasto per rendere credibile un'alleanza che avrebbe sulle spalle la ricostruzione del dopo Berlusconi.

Servono alleanza larghe per ricostruire fitalia. E serve un diverso Pd. Oggi non siamo qui a reclamare modifiche procedurali o a lanciare sfide per la leadership. Noi abbiamo chiesto e chiediamo un cambio di rotta. Nelle scelte politiche. Nella visione del nostro riformismo. E anche nel nostro modo di essere come partito. Noi siamo nati come la risposta più avanzata alla crisi dei partiti.

Con l'idea che tornare ai partiti di una volta fosse impossibile, e che per quelli futuri, oltre a una ricetta populista, potesse esserci una ricetta più democratica, incentrata simbolicamente sulle primarie. Questo ha detto il Pd col suo atto di nascita. E ha avuto diversi imitatori. Rimettere ora in discussione quella ricetta non avrebbe senso. E comunque non potrebbe funzionare.

Talvolta il Pd mi ricorda il famoso pianista del saloon che suona imperterrito lo spartito dell'unità, del dibattito interno e della compattezza esterna, del no allapersonalizzazione. E intorno, nel frattempo, tutti se le danno di santa ragione. In prima fila quelli che tessevano le lodi della compattezza. Serva un partito più democratico, che si fonda sulle primarie, apre le sue sedi, non ha paura delle differenze e della discussione. Un partito che sceglie il rigore nel rapporto tra etica e responsabilità politica.

E che non se la cava rivendicando una nostra diversità e poi evocando oscuri complotti quando emergono comportamenti inaccettabili. Altro che complotti. Se ci sono, vengono da chi rischia di infangare dalfinterno il Pd con i suoi comportamenti, e non certo da chi mette a nudo queste situazioni. Nella tradizione americana, il partito democratico è descritto come una grande tenda. Oggi, fuori dalla nostra tenda avvertiamo un brulicare di iniziative. Nel mondo cattolico, con un fermento che non ha precedenti.

Nel mondo delle imprese. Nel mondo delle reti, web e civiche, che spesso ci coglie di sorpresa e ci scavalca, dalle amministrative ai referendum. Abbiamo un bel dire che riconosciamo le loro autonomie di queste iniziative, mettendoci a disposizione. Una apparente generosità che spesso è un alibi per scelte sbagliate o per non scelte, come nel caso del referendum sulla legge elettorale. O ci facciamo attraversare da queste nuove realtà, diamo loro spazio, apriamo porte e finestre del Pd; oppme, inevitabilmente, nasceranno altre tende.

Insomma, non possiamo più eludere i nodi di una discussione che ci attraversa da due anni. Il Pd deve fare la parte del Pd. Ossia di un partito interclassista, plurale, campione di un riformismo moderno, sociale e liberale, aperto alle novità del mondo cattolico e alle reti civiche, capace di dialogo con tutti gli attori sociali e non solo con una minoranza del sindacato. Altrimenti, si rinchiude in un recinto innalzando vecchie bandiere.

Ma è ormai evidente che l'autoriduzione del nostro spazio, la rinuncia alla vocazione maggioritaria, non hanno favorito nuove alleanze. È successo l'esatto contrario.

Da oggi MoDem rilancia la sua sfida. Spero con meno titubanze. In modo aperto e non settario, con l'obiettivo non di metter su una nuova bottega ma di correggere la rotta delrintero partito. Abbiamo pagato la nostra iniziativa con rotture dolorose, che spero possano sanarsi, e perfino con meschine ritorsioni soprattutto nella periferia del partito. Ma ora, un anno dopo, abbiamo con noi più forza e più ragioni nelrinteresse del P d e del futuro dell'Italia.

Estratto dell'intervento introduttivo
all'assemblea di MoDem

 

 

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